Undici anni. Erano volati. Undici anni durante i quali il piccolo Harry Bruscolotter aveva scoperto tutti i poteri magici del suo palo ‘e fierro, e durante i quali lo zio adottivo Giotti D’Angelo aveva studiato la notte per il giorno il modo in cui sfruttarli. Ma tante altre cose, troppe, Harry, non aveva ancora scoperto. La prima: che fine avevano fatto i suoi genitori?
Un giorno, poco prima di Natale, Harry provò a scrivere a sua madre. Le confidò quanto dolore gli costasse stare da lei lontano, le rivelò che gli sarebbe piaciuto durante le ricorrenze allummare dei biangali, due o tre, sul numero definitivo era ancora incerto, e allo stesso tempo stava assai speruto di ascoltare la musica di uno zampognaro. Si raccomandò con sua madre di mettere comunque a tavola il piatto suo, e la sera della vigilia di simulare la sua presenza in mezzo a loro. Poi concluse con uno sfogo sul conto del fornaio sotto casa e sulla cattiva qualità della sua lavorazione: il pane gli risultava amaro.
Quella lettera però Harry non la imbucò mai. Per il semplice motivo che non avrebbe saputo a chi indirizzarla. Così la portava sempre con sé, in tasca. Fino al giorno in cui fu invece una lettera ricevuta, a cambiargli la vita.
Gli venne recapitata da un uomo gobbo, vestito con un pigiama a righe, le strisce bianche e nere, il suo nome era Rubeus Alluck. Questi (bello questi, eh?) approfittò dell’assenza da casa di zio Giotti, bussò alla porta e consegnò al bimbo la lettera della rivelazione.
Quel giorno Harry compiva 11 anni. Venne a sapere di essere davvero un mago, come lo erano stati i suoi genitori, scomparsi tragicamente per mano di un uomo assai temibile che da quel momento in avanti sarebbe diventato il suo peggior nemico. Si chiamava Waltermord.
Waltermord era tanto insidioso che il suo nome sarebbe stato meglio non pronunciare mai. Molti usavano allusioni alternative. Qualcuno lo chiamava Capisci-a-me, qualcun altro Zitto-chi-sape-‘o-gioco. Era un uomo animato da raptus che si manifestavano in modi diversi e bizzarri.
In pizzeria per esempio non sopportava la vista di una 4 stagioni: brandiva forchetta e coltello e si affrettava a eliminarne una, per poi disporre il resto della pizza a tre. Un pomeriggio, in piazza Nicola Amore a Napoli, con una collera dalla genesi misteriosa provò ad abbattere uno dei 4 palazzi. Inoltre, davvero non si spiegava perché essendo invisibile la donna, il gruppo di super eroi non si chiamasse i Fantastici Tre. Un cruccio che comunque non gli impediva di amare i fumetti, in particolar modo Qui-Quo-Qua e i 3 Porcellini.
Ora, sotto Natale, Waltermord cominciava a fare scorta di panettoni: le Tre Marie. Viaggiava molto. Quasi mai in aereo o in treno, preferiva spostarsi a bordo di caravelle. Per questo aveva tanto tempo per leggere. Il suo romanzo preferito era I Tre Moschettieri, se non altro Dumas gli aveva risparmiato in partenza la fatica di eliminarne uno dal titolo. Era spesso per lavoro lontano da casa. E non mancava mai di visitare una libreria nel luogo in cui si recava.
Un giorno, durante un viaggio in Europa, sbirciò tra gli scaffali dei classici e posò lo sguardo su un titolo che lo incuriosì: “Il Cappotto”.
Mmm. Pensò che fosse l’autobiografia di Pesaola. Si sbagliava.
Voltò il volume, sul retro c’era scritto 10 euro, si mise in fila alla cassa e quando giunse il suo turno tirò fuori la banconota.
“Ecco i 10 euro”, disse.
“Non bastano”, reclamò la cassiera.
“Come sarebbe? C’è scritto: prezzo 10 euro, perché i miei 10 euro non bastano?”.
“Lei viene da fuori?”, domandò la signorina.
“Sì”, confermò Waltermord, “sono qui in trasferta”.
“E allora fanno 20 euro. I Gogol in trasferta valgono il doppio”.
Harry Bruscolotter nel sentire tutto questo rabbrividì. Waltermord era un suo nemico. Ma non ne conosceva ancora il motivo.
(3. – continua)
Il Ciuccio