Uno dei più celebri aneddoti che riguardano Michel Platini è la sua risposta ironica e sottile a Gianni Agnelli, che dopo una partita lo pizzicò con una sigaretta in bocca. “Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini”. Sapeva bene, Roi Michel, che per giocare come sapeva e voleva fare, era necessario che alle sue spalle qualcuno corresse per lui. Massimo Bonini, appunto, illustre carneade della Juve degli anni 80, ma pedina indispensabile nello scacchiere del Trap.
E’ un po’ come dire che dietro ogni uomo c’è sempre una grande donna, o, se preferite, che dietro le prime donne del pallone, c’è sempre qualcuno che tira la carretta. L’elogio del mediano non può che partire da qui, senza scomodare Furino, Oriali o Gattuso.
Perché io, ve lo confesso, sono sempre stato affascinato da quella zona del campo. Da chi tocca più palloni di tutti, e più di tutti ne sbaglia. Da chi macina chilometri, e per forza qualche volta corre a vuoto. Da chi segna poco, quasi mai, ma quando lo fa, è dribblando tre juventini per poi chiudere in diagonale con una serpentina degna del miglior Signori, oppure va in gol all’Olimpico con una saetta spettacolare anche se un po’ fortunata, in un gelido sabato romano. Da chi certe volte partiva in progressione e il tifoso tratteneva il fiato vedendolo avanzare verso la porta neanche fosse Weah, e pazienza se qualche volta finiva per essere sprecone. Mi basta che non lo sia stato quella sera col Milan, quando fornì un perfetto assist a Cavani, smarcato alla sua sinistra.
Ecco, oggi che Walter Gargano saluta, dopo un lustro napoletano che lo annovera comunque tra le più recenti bandiere (quasi 200 in A), uno degli uomini simbolo della rinascita targata Marino, non si può non voltarsi indietro per cercare qualcuno come lui, nella storia azzurra. Mediani, cagnacci, portatori d’acqua, giocatori chiamati sempre in tono vagamente dispregiativo. Ma architravi invisibili di schemi ambiziosi, ingranaggi fondamentali di squadre più o meno forti, ma che di giocatori come loro non possono fare a meno.
Provate a immaginare il grande Napoli senza quei mediani, che certe volte erano addirittura tre (e poi si dice che questa tattica l’ha inventata Allegri). De Napoli, Crippa e Alemao, una squadra di fatto senza regista a parte i due anni e mezzo pieni di infortuni di Ciccio Romano. Tre recuperatori di palloni che correvano come matti per reggere il tridente (e che tridente), sei piedi di cui neanche uno fatto per giocare a calcio e quella sostanza, generosità, impegno, che i guru di oggi chiamano “intensità”. Si, d’accordo, il regista non serviva perché ci pensava Lui, che se avesse potuto si sarebbe portato Bagni e De Napoli anche nella nazionale argentina, mica solo Carmando.
Insomma, noi questi giocatori li sappiamo riconoscere, e anche apprezzare, gliene diciamo quattro perché si fanno irretire, ma sappiamo che non possiamo farne a meno, e alla fine gli vogliamo bene. E’ facile innamorarsi dell’estro del Pocho, dell’istinto felino del Matador, o dell’eleganza di Hamsik. Più difficile guardare come si muove un mediano durante una partita, come chiude e come corre, quando fa la zecca sui talloni del regista avversario o rischia il fallo per far rifiatare la squadra. Perde molti palloni, ma conta il saldo con quelli che recupera. Compito ingrato, Mota, te lo riconosciamo. Ma è per questo che Gargano non sarà facile da sostituire. Un po’ come fu per De Napoli, che si prepensionò al Milan, e che provammo a rimpiazzare per anni con l’onesto Pecchia, ma anche coi vari Pari, Bordin e Rossitto, coi risultati che ricordiamo. Senza voler arrivare a quando ci si doveva entusiasmare per Miceli e Montesanto o sperare che Blasi, sempre in diffida, non venisse ammonito.
Per cui ci sarà un motivo se Gargano ha giocato sempre almeno 34 partite, a parte l’anno in cui si fece male. Si, d’accordo, ci saranno stati problemi nello spogliatoio, con Mazzarri non si sono mai amati, e in ogni caso cinque anni in un club di questi tempi sono un’eternità, se pensiamo che giocatori che hanno fatto la storia azzurra come Alemao, Bagni e Zola hanno giocato nel Napoli per quattro stagioni. E poi vabbè, forse è vero che lui voleva fare il regista, e già l’arrivo di Inler l’aveva un po’ innervosito, figuriamoci la partenza del Pocho che invece impone di avere in mezzo un po’ più di qualità. E va bene pure ch in certe giornate era irritante, ma chi non lo è, che bisognava chiamargli l’uomo quando arrivava e che in una stagione uno ha i suoi legittimi cali.
Ma dell’importanza di Gargano, della sua corsa arruffona e maldestra, del suo moto perpetuo e del suo lancio “Cavà, pensaci tu”, ci accorgeremo adesso che se ne è andato, come tutte quelle vitarelle invisibili che fanno funzionare i grandi congegni, e che se perdi non sai più che inventarti. E quando torna al San Paolo, guai a chi lo fischia, al Mota.
Alessandro Chiappetta