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Guardiamo il bicchiere mezzo pieno

Un po’ di sano cinismo. Questa è una di quelle occasioni in cui guardare alle conseguenze dell’eliminazione con distacco, senza far prevalere l’umore sulla ragione, può tornare comodo. Certo, ci credevamo tutti, il risultato era alla portata, la delusione è cocente, ma proviamo ad andare oltre lo sconforto.

Uno. Nel giro di un mese e cinque vittorie il Napoli ha riaperto il suo campionato. Dopo il tonfo di Genova sembrava impensabile, ora invece il terzo posto, valido per la qualificazione alla prossima Champions, dista solo 2 punti. Come dice una delle tante frasi fatte dello slang calcistico, per raggiungere il traguardo ci aspettano undici finali, delle quali quattro sfide dirette in casa delle nostre rivali (subito l’Udinese, poi la Juve e le due romane).

Bene, l’andata dei Quarti di finale di Champions è in programma tra il 27 e il 28 marzo, cioè subito prima di Juventus-Napoli. Il ritorno, invece, il 3 o 4 aprile, cioè subito prima della sfida all’Olimpico contro la Lazio. Continuare a sognare sarebbe stato bello, adrenalinico, per noi e per i giocatori. Ma ora possiamo dedicare al campionato quelle energie fisiche e mentali che altrimenti avremmo dovuto suddividere su due fronti, e potrebbe essere un vantaggio.

Due. C’è un discorso di più ampio respiro. Questa dello Stamford Bridge è una di quelle cadute dalle quali si impara molto. Se quest’anno siamo riusciti a reggere la pressione dell’Al Ethiad (stadio del Manchester City) e vincere al Madrigal, è perché l’anno scorso abbiamo perso all’Anfield contro il Liverpool e nello stessi catino della provincia valenziana. Se l’anno scorso i Sedicesimi di Europa League contro il Villareal sembravano qualcosa più grande di noi, undici mesi dopo abbiamo disputata con tutt’altro aplomb una sfida “alla morte” contro la stessa squadra per qualificarci secondi nel girone di Champions.

L’esperienza dei calciatori, cui tanto spesso si fa riferimento, si costruisce proprio in questo modo.

Noi non vorremmo perdere mai, è chiaro, ma possiamo credere che in futuro, quando capiterà di nuovo di giocare match di grande prestigio in stadio altrettanto prestigiosi, le ginocchia tremeranno di meno.

Roberto Procaccini

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