Il mio prologo è un deferente saluto al maestro Mimmo Carratelli. Leggere i suoi pezzi è come fare un tuffo nella memoria storica, e calcistica, di questa città, spesso un tutt’uno, due facce della stessa medaglia.
Per interpretare il futuro bisogna conoscere il passato diceva qualcuno. Più leggo Carratelli più mi ronza in mente la stessa domanda: perché il Napoli ha paura del passato? Perché non vi si riconosce? Perché non si vuole confrontare? Perché ne ha paura?
Le risposte possono essere molteplici, ma i fatti, che sono poi quelli che contano, sottolineano giorno dopo giorno che a questa gestione tutto ciò che è storia non piace.
Il giorno dell’acquisizione del Napoli da parte della curatela fallimentare, la prima decisione fu abbandonare Soccavo. Giusto, pensai. Per evitare guai giudiziari con i creditori.
Poi l’acquisto da parte della curatela fallimentare dei principali trofei da esporre in bacheca. E il resto? Le vittorie della Primavera e dei tornei grandi e piccoli conquistati dal Napoli? Niente. Quelli giacciono in uno scantinato della Provincia in piazza Matteotti. La storia in polvere.
Poi la scivolata di Riccardino Bigon che ci vuole a Liverpool soltanto con la playstation. Ma a Madrid, Amsterdam, e finanche Bucarest ci abbiamo giocato eccome.
Infine le gigantografie di Gargano e non di Vinicio, di Mazzarri e non di Pesaola.
Non conosco il motivo per il quale De Laurentiis ha fatto queste scelte. Lui è proiettato nel futuro e fa bene perché essere radicati troppo nel passato fa male ai napoletani più conservatori dei conservatori stessi. Ma ricordo le visite fatte nel museo dell’Atletico Bilbao, dove il pezzo forte è il contratto firmato di un giocatore degli anni trenta; al Chelsea dove espongono anche le classifiche di quando giocavano in serie B ed il proprietario di allora non era certo Abramovich; senza parlare di Real Madrid e Barcellona che della storia ne hanno fatto un marketing. Ricordo che qualche anno fa incontrai due ragazzi argentini attorno al san Paolo. Mi chiesero se si poteva visitare lo stadio di Maradona. Gli dissi di no, poi li accompagnai, complice il custode del varco dei distinti, a vedere il campo. Una visita rapidissima, due minuti nulla più. La storia è un valore. Non credo che De Laurentiis abbia paura di confrontarsi con essa. I napoletani sanno che il loro Napoli è quello di Ascarelli, Zinzaro, Maresca di Serracapriola, Coppola, Savarese, Lauro, Leonetti, Piscitelli, Fienga, Savarese, Russo, Musolino, Cuomo, Scuotto, Fiore, ancora Lauro, Corcione, Ferlaino, Sacchi, Brancaccio, Gallo, Schiano di Colella, Innocenti, Scalingi, Corbelli, Naldi, Bellamio, Rascio e De Laurentiis. Ognuno con i loro successi e sconfitte.
Come simbolo non abbiamo né un’aquila, né un cavallo alato, né qualsiasi altro animale potente. Abbiamo o’ Ciuccio ‘e fechella, novantanove piaghe e la coda fradicia. Significa che non abbiamo paura della nostra storia. Ne andiamo orgogliosi. Perché questo De Laurentiis fa fatica a capirlo?
<strong>Paolo Carafa</strong>
Perché De Laurentiis
teme la Storia?
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