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Lo ammetto, mi sono illuso di eliminare il Real Madrid. È così grave?

Chi sostiene di non averci sperato, mente. L’energia dell’illusione, come insegnano i grandi successi, va tesaurizzata. Tra la delusione e il disincanto c’è spazio per la mozione Frank Capra.

Lo ammetto, mi sono illuso di eliminare il Real Madrid. È così grave?

La facoltà d’illuderci che la realtà d’oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall’altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d’oggi è destinata a scoprire l’illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita. (Luigi Pirandello)

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Chi dice di non averci sperato, mente

Ammetto di averci creduto. Tra il primo e il secondo tempo ero convinto che avremmo potuto realizzare l’impresa. Ma chi tra noi non l’ha fatto? Chi era stracerto che sarebbe andata diversamente, dopo quei primi 45 minuti?

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Chi ora assume di non averci mai sperato, mente.

Ammetto di essermi illuso. Ma è così grave? Naturalmente troveremo sempre chi sale in cattedra e ci bacchetta, con un sermone moralistico che vuole avere il sapore del progressismo ruggente mitteleuropeo, l’esaltazione di un mondo in continuo bernsteiniano movimento, mentre qui stiamo ancora una volta a funiculì-funiculeggiare: «illudersi è deleterio, non si fa, la realtà è un’altra, Napoli e il Napoli sono questo, più di tanto non si può fare, blah blah blah…»

E se l’illusione fosse il nostro carburante?

Non ce ne voglia, è un atteggiamento che ricorda per certi versi il Pasolini di “Mamma Roma”, con quell’Anna Magnani, rappresentante della storia con la S minuscola, del popolo umiliato, scamazzato, che si rivolge a un prete per avere una raccomandazione per il figlio Ettore; cerca, la donna, un posto da cameriere, ma il sacerdote, interpretato da Paolo Volponi, delude la richiesta e si impegna al più per un lavoro da manovale. Per l’intellettuale teorico del genocidio culturale, il razzismo sociale è tutto incluso in quelle poche battute del sacerdote: “sul niente non si costruisce niente”…

E se l’illusione fosse invece il nostro carburante? Il tema è presente nel mondo latino da sempre, come mi spiega lo scrittore Francesco Palmieri. Si pensi al sogno del ragazzino che vuole diventare torero: “tenere ilusion”, quello che dà senso alla vita. E l’aficionado in fondo è un coltivatore di ilusion, nel senso di “entusiasmo”, “sogno”. Uno stato felice. Spesso frustrato, è vero. Come accade quasi puntualmente nella canzone napoletana, che approfondisce soprattutto la disillusione amorosa (“Malafemmena”, “Reginella”, infine “Dicintecello Vuje”, dove il risveglio è benefico, sgombra il campo dalla menzogna).

Ci esponiamo all’accusa oggi più infame, quella di populismo

Ci esponiamo allora anche all’accusa più infame, oggi, quella di populismo, ma è dai caratteri dei popoli, non da schemi astratti universali, che si deve partire se si vuole crescere, e noi che siamo votati all’illusione, seguita spesso dalla disillusione, potremmo farne benzina.

Chi di noi non si è sentito, camminando accanto a una fanciulla, tenendola per mano, di volare, nella brezza primaverile, chi di noi non si è sentito “nu signore”, anche solo dopo un piatto di spaghetti e due bicchieri di vino in compagnia di buoni amici? E poi: chi dopo quel Napoli-Real Madrid non ha guardato soprattutto il bicchiere mezzo pieno? In uno stadio, stavolta, davvero spaventoso come quello evocato da Roberto Fontanarrosa nel romanzo “Area 18”, una prestazione magnifica, per almeno cinquanta minuti, tanto da farci dire, alla conclusione di quel giro, riecheggiando il capitano, sì, ne siamo usciti, comunque, a testa – e cresta – alta.

Una “fiducia irrazionale”

Non era una pazziella, il risultato ci sta tutto, ma abbiamo tenuto testa ad un Real Madrid che è forse la squadra più forte del mondo. Anzi, per molto di quel match non gli abbiamo fatto fare pressoché nulla, e abbiam visto a un certo punto – da non crederci – un Marcelo aggirarsi nel San Paolo, in mezzo ai “proiettili azzurri” (cit.) con sguardo spaesato, sempre più Salvatore Ficarra del duo Ficarra e Picone, e ancora CR7 spazientirsi e sbuffare, veder sprecati i suoi passetti, infine Bale non riuscire a decollare come al solito…

Una “fiducia irrazionale”, certo, quella del pubblico napoletano, come la definisce L’Ultimo Uomo. Una “fiducia irrazionale” della stessa squadra, del suo allenatore. Che poi, è vero, sarà quasi spenta dal primo gol di un ineffabile Sergio Ramos, definitivamente archiviata col tempo che passava e il coevo crescere della squadra di Zinédine Zidane.

Il De Laurentiis perculatore e il De Laurentiis berlusconiano

Ma il miglior De Laurentiis non è certo quello che dopo la partita ha ripreso temi cari ai neoborbonici – ma anche lì, smettiamola almeno noi con le interpretazioni letterali, da madrassa talebana, da benpensanti che non sanno godersi lo spettacolo esilarante di un grande perculatore, uno che interrogato su una partita di ottavi di Champions League si mette a parlare della tradizione culinaria nostrana, del catering del San Paolo da lui allestito, che a un certo punto te lo immagini portare ruoti di pizzette agli spettatori (Tutto poco serio, dite? Cialtronesco, indegno, addirittura?! Scusateci, ma qui continuiamo a trovare più indegni – e mortiferamente banali – i cori sul Vesuvio).

Il miglior De Laurentiis, dicevo, è quello, altrettanto “berlusconiano”, del Bernabeu, che sferza una squadra, anche il suo bravissimo tecnico, creando quella tensione tra forti personalità che è il vero motore dei successi aziendali. Dando l’idea di crederci, forse davvero credendoci (e beccandosi, of course, dell’incompetente). È il De Laurentiis visionario, che voleva vincere davvero a Madrid, che ostentava questa convinzione dinanzi al mammasantissima Florentino Perez, dopo essersi portato con sé alcuni rappresentanti della Napoli che vince (Sorrentino, Orlando), che in realtà voleva un’altra prestazione, cazzuta, a viso aperto, che ha ottenuto per risposta comunque una gara di ritorno, per cinquanta minuti, stre-pi-to-sa.

Va tesaurizzata l’energia dell’illusione

E allora anche questa energia, quella dell’illusione, nostra e del tifoso che straparla ADL, infine di ragazzi che qui debbono crescere, va tesaurizzata, come insegnano le storie di tutti i grandi successi anche, anzi in primis, capitalistici, associandola alla auspicabile, necessaria crescita in termini di cattiveria (ne parlavo qualche tempo fa su queste pagine, non mi si può muovere l’accusa di cedere al folclore o di appiattirmi sul velenoso buonismo di questi tempi neonapoletani, alessandrosianeschi). Anche se stavolta l’evocazione delaurentiisiana della parola “cazzimma”, per il Napoli dell’altra sera, se da un lato ci ha dedicato degli ulteriori momenti di impagabile ilarità (“Peppino, sei cazzuto!”, rivolto all’autore di “Champagne”), ci ha ricordato che in realtà la vera cazzimma è stata, alla fine, dei Gacticos, che avranno pure giocato poco ma – da team enorme, stratosferico – hanno concluso molto in termini di risultati. Evidentemente, qui, non è quello il punto vero.

Il punto vero è altro.

La mozione “Frank Capra”

Perché tra la delusione, figlia dell’assenza di senso della realtà, e il disincanto di partenza che svilisce tutto, speculari in fondo, ci sono per quanto ci riguarda anni di pizze mangiate sui cofani delle macchine credendoti il re del quartiere, ragazze come quella, sì, anche partite di 50 minuti soltanto, e se c’è lo spazio per una “mozione Frank Capra” qui al Napolista, proponiamo di non dimenticarle. Di farne tesoro. Ci si può costruire, in un mix col realismo, la gradualità, certo con pazienza (non ci manca, abbiamo atteso trent’anni, siamo pronti per altri trenta), perfino una progettualità.

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