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Conte si è comportato come i tifosi del cacc’e sorde

La notizia del calcio italiano sono le dimissioni di Antonio Conte da allenatore della Juventus. Improvvise ma non sorprendenti. Se non per il tempismo. Sembrava che il patto tra la società e il suo allenatore avesse retto. E invece no. Antonio Conte è stato l’uomo simbolo della rinascita juventina. È stato lui il principale artefice dei tre scudetti consecutivi (del resto basta osservare l’entusiasmo con cui sui social è stata appresa la notizia per comprendere quanto fosse temuto). Tanto bravo quanto antipatico. Innegabilmente bravo. Il primo scudetto lo ha vinto pur non avendo la squadra più forte. La più forte era, guarda caso, il Milan di Allegri. La Juventus vinse con merito, al di là del gol fantasma di Muntari. Poi ha bissato e triplicato. In Italia. Sempre e solo in Italia. In Europa venne prima preso a schiaffi dal Bayern e poi addirittura eliminato dal Galatasaray.

E questo è un punto. In Europa, la più forte squadra italiana ha fatto il solletico agli avversari. Ma non è il più importante. Il più importante è la mancanza di consapevolezza del momento che il calcio italiano (il discorso di potrebbe estendere ad altri campi, ma non è il caso) sta vivendo. Il Mondiale del 2006 ha drogato il giudizio sul nostro sistema calcio. Sono trascorsi quattro anni dalla vittoria dell’Inter in Champions. Ai Mondiali brasiliani abbiamo meritatamente perso contro il Costa Rica. I nostri migliori allenatori si sono trasferiti, con successo, all’estero. Il calciomercato – per cui tanto ci elettrizziamo – di fatto non esiste più. Ieri Siena e Padova non si sono iscritti al campionato di serie B. I mali del nostro calcio, su tutti quello della sicurezza, non vengono nemmeno presi in considerazione. Per lo Stato è uno scoglio troppo duro da affrontare; alle società semplicemente non interessa. Il nostro è un calcio di serie B. E in questo calcio di serie B, la Juventus era indubbiamente la più forte.

Lasciando la squadra al secondo giorno di ritiro – e probabilmente proiettandosi verso la guida della Nazionale – Antonio Conte ha dimostrato di non aver compreso che il calcio è cambiato. Che gli Agnelli non sono più gli Agnelli. Ha rilasciato dichiarazioni molti simili a quelle di noi tifosi: “Rivincere è faticoso”. Lui voleva vincere. Voleva Suarez e Cuadrado, quando sapeva benissimo che la società ha bisogno di vendere perché ha i conti in rosso. Aveva l’opportunità di spiegare che un’epoca è finita – da tempo immemore – e che bisogna aprire gli occhi e rimboccarsi le maniche se ne vogliamo cominciare un’altra. Un comportamento che non è la cifra di Conte. Non a caso, in tanti – anche tra i tifosi avversari – lo stanno elogiando perché, da hombre vertical, non ha accettato compromessi al ribasso. Ha detto ad Agnelli: “cacc’e sorde, altrimenti vado via”. Ovviamente la sua scelta è rispettabile, per l’amore del cielo. Ma non aiuta i tifosi a comprendere.

In Inghilterra, a Londra, è cominciata la diciannovesima stagione consecutiva di Wenger all’Arsenal. Diciannove. È stato lui a introdurre in quel calcio la mentalità della società attenta ai bilanci, che per sopravvivere deve continuamente produrre talenti e rivenderli quando è il momento. È stato lui il primo a coniugare il pallone coi conti. E se ne è pure tolto di soddisfazioni: ha vinto tre campionati, cinque coppe d’Inghilterra, sfiorato la Champions. Se chiedete ai tifosi dell’Arsenal: “Quando ve ne liberate?”, vi rispondono: “Noi dobbiamo tantissimo a lui”.

Conte non aveva alcun obbligo a seguire le orme di Wenger. Ha fatto bene per sé. Qualcun altro, prima o poi, dovrà assumersi questo compito e spiegare a noi tifosi che ci stiamo intestardendo a voler guardare la televisione in bianco e nero. Eppure il calcio sta cambiando sotto gli occhi e facciamo finta di non accorgercene. Aurelio De Laurentiis è in società con Della Valle e Abete; va a braccetto con Agnelli; bisogna persino riconoscere che non sa più in quale lingua dirlo che la sua è un’azienda, che vincere non gli interessa. Niente. Parole che non arrivano. Eppure se capissimo, forse cominceremmo a far giocare sconosciuti che un giorno potrebbero diventare Özil, Müller, Neuer. Per carità, non me la prendo con i tifosi. Siamo come gli studenti. Serve qualche professore che ci appenda al muro e ci ripeta la lezione finché non la capiamo. Per ora siamo contenti. Il nostro rivale odiatissimo non c’è più. Magari è il momento buono. Ora De Laurentiis mette mano al portafogli. E dal fondo si sente una voce: “ah, ma allora nun’e capito niente?”.
Massimiliano Gallo

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