Shevchenko: «Due anni fa, un missile è esploso in un campo sportivo: tre bambini feriti gravemente. Uno ha la protesi, ha subito un’amputazione»
A Tuttosport: «L'Ucraina al Mondiale avrebbe un valore enorme per la gente. Lo sport come forma di terapia, perché quando vivi in zone di guerra cadi facilmente nella depressione»

Bucarest (Romania) 21/06/2021 - Euro 2020 / Ucraina-Austria / foto Uefa/Image Sport nella foto: Andriy Shevchenko
Andry Shevchenko, ex attaccante ed oggi presidente delle Federcalcio ucraina, ha rilasciato un’intervista al quotidiano Tuttosport.
Le parole di Shevchenko
Lei è il presidente della Federcalcio: cosa significherebbe andare al Mondiale?
«Gli obiettivi sono due. Il primo è sportivo: qualificarsi e partecipare con una squadra competitiva. Manchiamo da 20 anni, dal 2006 in Germania. E questo dice quanto sia complicato arrivarci, voi ne sapete qualcosa. In Europa tutti sono diventati più forti. Poi c’è l’altro obiettivo. Rappresentare un Paese in guerra al Mondiale avrebbe un valore enorme per la gente che vive in Ucraina: faremmo vedere a tutti che anche in questa drammatica situazione siamo in grado di realizzare qualcosa d’importante nello sport e ricorderemmo a tutti che la guerra non è finita. Poi, certo, speriamo che nel frattempo finisca. Perché ciò accada, però, è necessario che tutti i paesi lavorino, perché è un conflitto che ormai ha coinvolto il mondo intero».
Ai playoff Svezia e poi eventualmente Polonia o Albania: si può fare?
«Tutto si può fare: dipende da come ci arriviamo. Noi abbiamo dimostrato di essere competitivi, ma la Svezia è una squadra forte anche se nelle qualificazioni non è andata bene, ha giocatori di valore. E di qui a due mesi, le dinamiche e le situazioni possono cambiare. Sappiamo come funziona: oggi vai forte, domani per qualche motivo perdi un po’ di forma e…. Pesano tante variabili: quanti infortuni hai, quanti giocatori riesci a recuperare, in che condizioni li ritrovi. Noi nelle qualificazioni abbiamo avuto tanti indisponibili, la squadra non è mai stata al 100%».
L’Ucraina ha una tradizione di talenti sportivi, anche precoci: cosa si riesce a costruire oggi?
«Abbiamo un piano chiaro di cosa vogliamo fare, attraverso l’organizzazione e un gruppo di persone estremamente concentrate in questo lavoro. Affrontiamo difficoltà gigantesche. Intanto, si tratta di giocare sempre fuori casa. Dal punto di vista sportivo si complica tutto: un allenatore ha molto meno tempo da spendere con la squadra, i trasferimenti diventano più pesanti prima delle partite per i calciatori. Ma anche a livello economico è dura per una federazione come la nostra: durante la guerra abbiamo perso sponsor, perché le risorse vanno destinate altrove. Ogni trasferta per giocare in… casa è un costo extra. Poi si aggiunge la questione della capienza degli stadi: se affrontassimo la Francia nel nostro stadio Olimpico, lo riempiremmo con 80 mila spettatori. Invece ci tocca giocare in impianti da 30-40 mila al massimo: gli incassi diminuiscono del 50% almeno. Questo incide su programmi e investimenti, anche se l’obiettivo è non ridurre le trasferte. Anzi, stiamo cercando di fare ancora di più per mandare le nostre Under 14, 15, 17 all’estero. Mentre in Ucraina abbiamo organizzato un nuovo torneo nell’ambito del programma Grassroots dell’Uefa: alle finali, a Kiev, hanno partecipato 15-16 mila bambini, io ho invitato allo stadio gli altri ex Palloni d’Oro ucraini Blochin e Belanov e abbiamo fatto una festa per loro. Sono tutte cose che aiutano a motivare i più piccoli. Ci concentriamo sui settori giovanili per coinvolgere il maggior numero possibile di ragazzi. Abbiamo firmato accordi con diverse federazioni, tra cui quella italiana: formiamo gruppi da 30-40 persone e mandiamo i bambini più colpiti dalla guerra ai Summer Camp nei vari paesi. Troviamo amicizia, sostegno, solidarietà, ospitalità: tutto molto bello. Nel frattempo, stiamo anche cercando di mandare all’estero i nostri giovani allenatori perché studino, facciano esperienza e crescano: per esempio, da qualche anno abbiamo un accordo col Manchester City e adesso stiamo parlando con altri club. Abbiamo fatto cose enormi pure nel sociale. Stiamo curando un progetto, partito due anni fa, che riguarda gli amputati: si è cominciato con due squadre, ora ce ne sono più di 20 in un campionato in cui sono coinvolti mille giocatori. Io come presidente vado personalmente a fare fund raising, raccolta fondi: cerchiamo sponsor e aiuti perché in Ucraina gli amputati sono oltre 150 mila».
Lo sport come forma di resistenza, di sopravvivenza o cos’altro?
«Lo sport come forma di terapia, perché quando vivi in zone di guerra cadi facilmente nella depressione. Lo sport ti aiuta a pensare ad altro, ad avere un po’ di tempo per te. Noi ci concentriamo soprattutto sui bambini: io capisco perfettamente l’importanza dello sport nella loro vita».
Nell’Italia in crisi di talenti e vocazioni ora va di moda evocare il calcio di strada: in Ucraina giocare per strada può essere mortale.
«Infatti stiamo lavorando a fondo anche sui “safety protocols” per proteggere i bambini. Dobbiamo stare molto attenti a dove giocano, a che ora giocano. E fare in modo che appena suonano le sirene dell’allarme trovino in fretta un rifugio sicuro. Tra droni e missili, ci sono sempre pericoli. Non si contano i casi. Per esempio due anni fa un missile è esploso in un campo sportivo: c’erano solo tre bambini, però sono stati feriti gravemente. Uno di loro adesso ha la protesi perché ha dovuto subire un’amputazione, gli altri sono stati operati. Abbiamo fatto di tutto per aiutare loro e le loro famiglie ed è stato bello averli allo stadio il 16 novembre per la partita decisiva contro l’Islanda che ci ha permesso di andare ai playoff . Ma questo, appunto, è un esempio fra tanti».
Gattuso ct dell’Italia: si è preso una bella rogna.
«Mi è piaciuto quando ha detto: se mi qualifico al Mondiale, sarà meraviglioso; se non mi qualifico, vado fuori dall’Italia e non torno per un bel po’. Rino è stato molto onesto: sa a cosa va incontro. Ed è stato coraggioso ad accettare la sfida: sa che non c’è lavoro più importante di questo, soprattutto se guidi una Nazionale grande come l’Italia. Le aspettative sono alte, quando giochi un Mondiale o un Europeo non c’è pressione paragonabile».











