Ad As: «Alla fine l’Atalanta ha deciso di non lasciarmi partire. Ancelotti aveva parlato anche con Mertens e con il ds Giuntoli. Volevo andare lì per vincere il campionato»
Se l’Atalanta adesso è la squadra conosciuta in tutta Europa e in tutto il mondo, parte del merito va dato anche a Josip Ilicic. Con la sua qualità ha illuminato le partite della Dea, poi il Covid e altri problemi personali lo hanno fato sprofondare in un abisso. Piano piano si sta rialzando, è tornato nella sua Maribor ed è riuscito a riconquistare un posto in nazionale. As lo ha intervistato. “Una leggenda tormentata che ha trovato la pace. La sua mente ha detto basta quando era al top. È guarito a casa, nella sua Maribor, dove si gode il bel gioco come lo intende lui“.
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Ilicic: «Volevo andare a Napoli per vincere il campionato»
Come va?
«Bene. Mi sento vivo, desideroso di giocare. E questa è la cosa più importante».
Racconta subito che «non sopportavo più tanta pressione, giocando ogni tre giorni. Dopo la pausa Covid ho sofferto troppo. Non era più lo stesso e sentivo in cuor mio che era arrivato il momento di dire basta. Avevo promesso di tornare il giorno in cui sarei partito da Maribor e l’ho mantenuto. Sono cresciuto qui e mi sono divertito. Anche se il livello del calcio è incomparabile, sono felice».
Oltre al Maribor, c’erano altre proposte:
«Sì, tra questi quello del Siviglia. Monchi mi ha chiamato e io sono stato sincero con lui: ‘Mi dispiace, non voglio venire lì per guadagnare soldi e non contribuire’. Mi ha ringraziato».
Alla sua porta ha bussato anche Ancelotti, no?
«Quando era a Napoli, sì. Era praticamente fatto. Ma alla fine l’Atalanta ha deciso di non lasciarmi partire. Per loro era fondamentale. Avevo già accettato l’offerta. Ho parlato con l’allenatore, mi ha detto due o tre parole sul calcio… e poi mi ha parlato della vita. Mi raccontò cose di Napoli: ‘Dai, vieni, andiamo a mangiare, a bere…’. (Sorride) E’ una cosa fondamentale, perché sei un uomo prima ancora che un calciatore. Ne aveva parlato anche con Mertens e con il ds Giuntoli. Ero convinto, volevo andare lì per vincere il campionato e giocavo molto bene, fisicamente ero un animale».
Cosa rappresenta per te l’Atalanta?
«È una squadra che resterà sempre nel mio cuore, come il Palermo. I Rosanero mi hanno dato l’opportunità di brillare nel calcio italiano. La Dea mi ha permesso di fare partite grandissime, indimenticabili. Raggiungere quei livelli con un club piccolo è incredibile. Noto ancora l’affetto delle persone, mi mancano tanto e vorrei visitare di più Bergamo».
Già prima del Covid, Ilicic sentiva qualcosa che non andava:
«Cominciavo a sentire qualcosa di diverso dentro di me. Non ne potevo più. Se non stai bene mentalmente, non puoi durare fisicamente. E se non posso dare il massimo, preferisco fare un passo indietro. Non ha accettato di stare in panchina e il calcio non è solo una questione di soldi. Altrimenti sarei andato in Cina o in Arabia Saudita. Il calcio è amore».
Lo sloveno racconta cosa voleva dire giocare in quell’Atalanta:
«L’allenatore (Gasperini, ndr) ha sempre spiegato che le strade sono due. Il primo, restare indietro e aspettare che l’avversario sbagli un passaggio per poi, magari, poter attaccare. Quindi al massimo sei undicesimo. Ma se volevamo divertirci, segnare gol e vincere, dovevamo uscire e combattere, far soffrire il nostro rivale e riconquistare la palla. E poi, con qualità, cercare il gol. La squadra ha sempre avuto la qualità al top. Muriel, Papu Gómez, Zapata e io potevamo giocare ad occhi chiusi. Giocare contro il Real Madrid era un sogno, meno di dieci anni fa l’Atalanta lottava per evitare la retrocessione».
Cosa ha rappresentato per te Gasperini?
«(Sorride) Mi ha cambiato come giocatore. A Firenze era abituato a toccare il pallone, giocando un calcio spagnolo, visto che in viola ce n’erano tanti. Tuttavia abbiamo creato poco. Gasperini mi spiegò che non gli dispiaceva toccare la palla e che mi avevano ingaggiato per fare gol e fare assist. Ho dovuto abituarmi al loro calcio, ma poi mi sono divertito. Ho sempre avuto la sensazione di creare pericolo. Gasperini ci ha fatto superare i nostri limiti, non ti lascia un centimetro libero».
Nel futuro vedremo mister Ilicic?
«No, sarebbe difficile trasmettere ai giocatori la mia idea di calcio. Al momento non lo vedo, poi non si sa mai. Allo stesso modo, potrei diventare un manager o uno scout. Il calcio si sta evolvendo, devo imparare. Vedremo».