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Dani Alves ci insegna che i calciatori sono nostre proiezioni, non li conosciamo davvero (Guardian)

“Ci piaceva l’idea che fosse un bravo ragazzo, allegro e forte. Invece era solo uno che stupra le donne nel bagno di una discoteca”

Dani Alves ci insegna che i calciatori sono nostre proiezioni, non li conosciamo davvero (Guardian)
Tblisi (Georgia) 11/08/2015 - Supercoppa Europea / Barcellona-Siviglia / foto Imago/Image Sport nella foto: Dani Alves

“No, non li conosciamo davvero i giocatori“. Pensiamo di sì. Ma non è vero. Sono proiezioni, “li vediamo giocare, osserviamo come si comportano, analizziamo quello che dicono e proiettiamo su di loro come vorremmo che fossero”. E poi Dani Alves ci ricorda che non è il caso di farsi dei miti, di non confondere mai l’atleta e l’uomo. Di non mescolare le due cose. Il Guardian torna sulla condanna a quattro anni e mezzo per violenza sessuale all’ex laterale brasiliano, con una analisi di Jonathan Wilson.

“Il calcio è una grande soap opera – scrive – e per questo creiamo il nostro cast di cattivi ringhiosi, guerrieri dal cuor di leone e coraggiosi dribblatori. A pochi è concesso il lusso delle sfumature: giocatori e allenatori diventano buoni e cattivi. Forse il motivo per cui questo caso è stato così scioccante è che, almeno per gli estranei Dani Alves sembrava uno dei bravi ragazzi”.

“Che fosse un calciatore brillante è fuori dubbio”, continua Wilson. “Ma non era solo il suo talento. C’era la sensazione che giocasse con uno spirito di avventura, che si divertisse. Ogni volta che scendeva dall’autobus della squadra brasiliana, sembrava che portasse con sé un tamburo o un tamburello. Fuori dal campo, nelle interviste, spiccavano sempre due cose: la sua energia entusiasta e la sua risata”.

“Alves ha giocato con slancio ed estro, è stato intensamente competitivo e sembrava popolare, anche se nel suo secondo periodo al Barcellona si vociferava che avrebbe potuto non essere più la persona più adatta per il morale dello spogliatoio. E così abbiamo proiettato su di lui l’immagine che volevamo: lo spensierato terzino offensivo brasiliano, erede di Nílton Santos e Júnior e Cafú e Roberto Carlos, ma abbastanza fortunato da esistere in un’epoca in cui il ruolo di un terzino aveva essenzialmente a che fare tanto con l’attacco quanto con la difesa”.

“Questo è ciò che volevamo credere, ed è per questo che è così disgustoso apprendere che, anche se c’era del vero in quell’immagine, c’era anche un altro lato di Alves”.

“Mostrami come giochi e ti dirò chi sei, diceva il saggista uruguaiano Eduardo Galeano. È un aforisma con una certa validità: certi aspetti del carattere si rivelano in campo. Metterai la testa dove fa male? Riesci a gestire le avversità? Sei concentrato sulla squadra o sulle tue preoccupazioni? In che misura pieghi le leggi per ottenere un vantaggio? Ma si tratta solo di alcuni aspetti, perché esiste un mondo fuori dal calcio e di solito è complicato e spesso spiacevole”.

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