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Nel quadernino di Spalletti c’è il grande freddo con De Laurentiis

La Pec è solo la conseguenza di un rapporto che di fatto non esiste. Il Napoli così ha vinto. Ma Adl ha fatto i suoi conti e proverà a trattenerlo

Nel quadernino di Spalletti c’è il grande freddo con De Laurentiis
Napoli's Italian coach Luciano Spalletti looks on prior to the UEFA Champions League round of 16, second leg football match between SSC Napoli and Eintracht Frankfurt at the Diego-Maradona stadium in Naples on March 15, 2023. (Photo by Tiziana FABI / AFP)

Non è a causa della Pec (o della mancata telefonata la sera dello scudetto) che i rapporti tra Spalletti e De Laurentiis si sono deteriorati. È il contrario. I rapporti tra De Laurentiis e Spalletti si sono talmente deteriorati al punto di arrivare alla Pec e alla mancata telefonata la sera dello scudetto. Lo sappiamo, è un duro colpo alla retorica infantile che da sempre accompagna le gesta degli “eroi” calcistici. Le panzane sul gruppo, sull’armonia. Con i tifosi che a ogni latitudine hanno scelto per sé il ruolo di decerebrati per cui ogni informazione scomoda viene archiviata alla voce “destabilizzatori”. Siamo in una grande seconda elementare, in cui è raro rintracciare un adulto. In realtà come in ogni luogo di lavoro, le società di calcio (e spesso anche gli spogliatoi) sono luoghi di antipatie, maldicenze, rivalità, dissapori, colpi bassi. E si vince lo stesso.

Noi un po’ avevamo provato a raccontarvelo, prima che accadesse tutto questo casino. Prima che, in prossimità dello scudetto, Spalletti cominciasse a portare all’esterno quel che si porta dentro da tempo. I due lungo tutto l’arco dell’indimenticabile stagione (segue ohhhh) non si sono praticamente mai parlati. Spesso l’uomo di Certaldo non ha nemmeno risposto alle telefonate del presidente, cosa che irrita non poco il signor Aurelio. Così De Laurentiis ha smesso di chiamare, il Napoli è andato avanti e ha vinto il campionato. Non pochi a Napoli sostengono che quando il presidente tace, il Napoli sia una corazzata imbattibile.

Anche nella autolesionistica fotografia con gli ultras (salutata a furor di popolo da tutta la città), c’entrano le tensioni Spalletti-De Laurentiis. Se il Napoli fosse stato eliminato senza il tifo organizzato, la piazza tutta (pensate come stiamo messi) avrebbe attribuito al presidente la responsabilità della sconfitta. Il risultato è stata la figura di merda (si può dire? lo diciamo) della foto e la sconfitta con il tifo che ha smesso di sostenere la squadra dopo venti minuti di orologio.

Da settimane, possiamo dire anche da mesi, Luciano Spalletti non fa mistero con nessuno di avere un quadernino su cui tiene annotati tutti gli sgarbi che il presidente avrebbe commesso nei suoi confronti. Uno per uno, nessuno escluso. A cominciare dalla scorsa stagione. Non dimentichiamo che lo scorso anno, in piena tempesta contro Spalletti, dopo le uova e le pietre lanciate al bus della squadra per lo scudetto perduto, De Laurentiis non solo non alzò un dito per difenderlo. Ma lo buttò in pasto ai pescecani accusandolo di scarsa napoletanità e facendo la sceneggiata di andare a casa dei Ciro Mertens (padre e figlio) dopo che il papà era stato protagonista di una polemica tv a distanza con il tecnico. Il risultato fu lo striscione esposto all’esterno dello stadio “Spalletti, la Panda te la restituiamo, basta ca te ne vaje”. Il povero Spalletti, per rimediare, fu costretto a un tour nel cuore della città, tra il murales di Maradona e i pastori di San Gregorio Armeno.

Il quadernino del tecnico di episodi simili ne contiene tanti. Ha vissuto quel che prima di lui altri allenatori hanno vissuto. Una persona molto addentro al Calcio Napoli una volta ci spiegò perfettamente il metodo De Laurentiis: «corteggia l’allenatore, si innamora, lo coccola, lo riempie di attenzioni e carinerie, a lui e alla sua famiglia, lo fa sentire a casa ma poi, quando i rapporti cominciano a incrinarsi, fa cadere la saracinesca, azzera tutto e il malcapitato si ritrova completamente solo, abbandonato, senza più punti di riferimento». È successo praticamente con tutti. Non è neanche “colpa” sua. È fatto così. Al centro di tutto ci sono lui e la sua famiglia. È di ieri il debutto ufficiale della figlia Valentina.

È ancora presto per dire come andrà a finire questa vicenda. Spalletti ha fin qui avuto ragione a ripetere che il problema non erano i soldi. Semplicemente, non voleva e non vuole più lavorare con De Laurentiis. Il quale fino a poche settimane non è che si strappasse i capelli per un addio col tecnico che gli ha portato lo scudetto. Però, poi, quando si va al dunque le cose cambiano. Vincere e non vincere fa tutta la differenza del mondo. De Laurentiis se n’è accorto anche nel rapporto con le istituzioni. Oggi nelle riunioni in prefettura sembra il padrone di casa. Può consentirsi che emergano notizie sulla ristrutturazione dello stadio – in accordo col sindaco Manfredi – senza che nessuno obietti nulla. Ora per lui sono tutti tappeti rossi. Ne sa qualcosa Dries Mertens la cui cittadinanza onoraria si è persa nel labirinto del cerimoniale di Palazzo San Giacomo. Chissà se si ritroverà più.

Insomma per sbrigare pratiche che a lui interessano – feste ripetute per lo scudetto in diretta tv, manovre sullo stadio – è meglio farlo con lo scudetto sulla maglia e il vento in poppa. Questo per ricordare che il presidente, nonostante i rapporti personali al minimo, non è stupido e non rinuncerà facilmente a Spalletti. Proverà in ogni modo a trattenerlo. Altrimenti ripartirà con un altro innamoramento. E ricomincerà la giostra.

Due osservazioni post articolo.

La prima riguarda Spalletti. Che ha tanti meriti, tantissimi. Non li ripetiamo. Aggiungiamo che fu l’unico la scorsa estate a metterci la faccia a Dimaro in piena sollevazione degli A16 (tifosi del Napoli con un Q.I. particolarmente basso) che volevano De Laurentiis a Bari. Ma non è vero che non ha mai sollevato dubbi sul valore della squadra. Basta andare a riascoltare la conferenza alla vigilia di Lazio-Napoli quando disse: “volete che vi faccia un disegnino?” per spiegare chi era andato via e chi era rimasto.

La seconda, apparentemente inutile, riguarda il sindaco Manfredi. L’altra sera era alla festa del tentacolare e potente di Salvo Nastasi che Travaglio sul Fatto ha descritto come “un collezionista di cadreghe da far impallidire Poltrone e Sofà”. Uno con le mani in pasta, per sintetizzare, legatissimo a Renzi e Gianni Letta e che è riuscito a sopravvivere al loro allontanamento dalle stanze del potere. Solo a Napoli è stato commissario straordinario del San Carlo e commissario straordinario di governo per la bonifica di Bagnoli. Ebbene Manfredi l’altra sera era al suo compleanno a Roma. Il primo cittadino della capitale, Gualtieri, non c’era. Manfredi sì.

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