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La festa darwiniana di Napoli: lo scudetto di chi sopravvive al piano trasporti

I trasporti non funzionano mai, perché dovrebbero con lo scudetto? Le istituzioni vietano tutto il vietabile e fingono che domenica non si sia sfiorata la tragedia

La festa darwiniana di Napoli: lo scudetto di chi sopravvive al piano trasporti

Al netto di strette di mano, caffè e acque minerali, le riunioni in Prefettura che pomposamente si autodefiniscono “per l’ordine e la sicurezza pubblica” potrebbero durare due minuti, tre al massimo.

– Che facciamo con le macchine, si possono usare?
– No, vietate.
– Scooter?
– No, si’ pazz, quelli non si mettono il casco, vietati.
– Le bici?
– Sì le bici sì, tanto sta città è tutta in salita chi le usa le bici…
– E dunque…
– Tutti a piedi
– Ok. E i mezzi pubblici?
– Eh. Coi 98 euro l’ora per gli straordinari inutili di domenica notte ci siamo giocati il budget fino al 2032. Dobbiamo scegliere: mercoledì o giovedì? Ah, e c’è pure domenica… la festa. È tardi per inserire lo scudetto del Napoli nei piani per il Pnrr, eh?
– E quindi…
– Mi gioco 10 euro sulla Lazio. Giovedì metro aperte, mercoledì no. Mercoledì tutti a piedi
(il sindaco e il Prefetto, simultaneamente toccano ferro)

La conferenza stampa successiva, ormai un rito anche quello, basterebbe affidarla al vigile urbano di Così parlò Bellavista, quello che messo di fronte all’ingorgo “a croce uncinata” ripara nel bar e si prende il caffè: “Nun me ne parlate…”.

È il sogno bagnato del sindaco Manfredi: non parliamone più, vi prego. Adda passà sta nuttata dello scudetto. Possibilmente, lo speriamo tutti, senza il morto in piazza: basta l’infarto d’un anziano nella calca d’attesa di una metro che non arriverà mai. Non è certo improbabile viste le scene e ascoltate le testimonianze di domenica scorsa. Infatti non ne parla nessuno, della tragedia sfiorata alle stazioni, e dei napoletani sfiancati per tornare a casa. La conferenza stampa bis di presentazione del piano-scudetto fila via liscia, come se domenica tutto avesse funzionato a regola d’arte. È un multiverso accudente.

La proiezione è a lunedì prossimo, dopo che anche l’evento al Maradona dopo Napoli-Fiorentina si sarà consumato. Se la sfanghiamo in questa settimana, da lunedì si torna alla normalità: la metropolitana ogni quarto d’ora, così diamo tempo ai turisti di instagrammare per bene le stazioni più belle del mondo; il traffico bloccato così diamo tempo ai turisti di instagrammare il golfo più bello del mondo; il silenzio più o meno morboso delle famose persone comuni, assuefatte, avvilite ma sempre – la recita a soggetto – sorridenti. Così diamo il tempo ai turisti di caricaturare le gente più bella del mondo. Ah, no: c’è ancora le festa ufficiale del 4 giugno! De Laurentiis ci scherza su: “L’avete detto voi che Napoli avrebbe festeggiato per mesi. Non abbiamo ancora cominciato…”. Il sorriso isterico di Manfredi, lì di fianco, diceva tutto il resto.

Dopo la nevrosi della scorsa settimana culminata nella festa sfumata, dunque, le istituzioni procedono per sottrazione: non possiamo garantire il minimo sindacale di trasporto pubblico, e non vogliamo lasciare liberi i cittadini di autoregolarsi. Come si fa? Si recita, al solito, in replica. Mercoledì facciamo finta che Lazio-Sassuolo non esista (Sarri pensaci tu…), e giovedì reiteriamo il piano di domenica scorsa, come niente fosse.

Da registrare la battuta involontaria del sindaco: «Sì, si può andare allo stadio con la macchina, solo che poi non torni più a casa». Come con la metro, insomma…

È una visione darwiniana della festa: chi ce la fa, proceda pure. Gli altri scendano sotto casa e si facciano bastare il bordello di prossimità. È la vittoria del tifoso ultrarunner: è una vita che s’allena per questo, inconsapevole. Lui può, gli altri – il nonno, i bambini, le famiglie, gli illusi della Napoli-è-come-Milano – no, quelli s’attaccano. Perché – ed è il punto del dibattito che l’eccezionalità degli eventi ha sottratto al pubblico ludibrio – non è la notte dello scudetto il problema, qualunque essa sia: è il contesto usuale, la routine dei disservizi, l’arraggia abituale. Questi giorni di impudica resa istituzionale sono l’espressione eccezionale di una bandiera bianca ordinaria. L’impotenza in potenza.

Il piano trasporti di domenica scorsa è stato a tratti commovente: un tentativo tenerissimo di dirsi “normali”. Perché i napoletani trattati come subumani spesso solo questo chiedono: “normalità”. Andare allo stadio in metropolitana. Persino, poi, tornare a casa senza timore di rimetterci la pelle. Hanno avuto in risposta l’ennesima giornata da incubo. Quella che per numeri ed esposizione mediatica è diventata (a fatica, eh) un “caso”, ma che riflette invece il patema di tutti i giorni. Cambia solo il dosaggio di anestetico da somministrare.

L’anestesia come unica opzione di cura. Il freno tirato, lo scippo dei diritti spiccioli, la negazione come misura della vita. Un veleno a lento rilascio che ha abituato il napoletano a sopportare, a mutare forma, ad adattarsi alle condizioni ambientali. Fino a raccontarsi – per autoconservazione – l’allucinazione collettiva di una realtà bella solo perché unica. Ma la straordinarietà di Napoli – come ha colto Francesco Patierno nella nostra intervistaè quella di una città che si gestisce da sola. Sai che non puoi fidarti, ti gestisci da solo”. Il comportamento della gente in strada, domenica, è stato esemplare. Nonostante il suo governo, e la (disattesa) ansia da apocalisse soffiata per settimane dai media.

Se dal basso, con un certo orgoglio, la città ha dato dimostrazione di civiltà, è dall’alto che continua a grandinare incapacità. Meglio reprimere che gestire. Arrendersi, allargare le braccia, davanti al cittadino-vittima: “nun me ne parlate” come filosofia politica. Finora ha funzionato, che gli vuoi dire.

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