Havertz: «Il calcio è un bel modo per rendere felici le persone, ma ci sono cose cento volte più importanti»

Intervista al Guardian e alla Süddeutsche: «I commenti social? Ci vuole equilibrio. Alla fine, comunque giochi, a casa la mia ragazza mi chiede di caricare la lavastoviglie».

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Kai Havertz, giocatore del Chelsea, ha creato una fondazione benefica e per l’occasione la Süddeutsche Zeitung ha deciso di intervistarlo.

«Nella mia famiglia abbiamo sempre voluto aiutare le persone e gli animali. Questa volontà c’è sempre stata. La sensazione di essere in grado di aiutare e restituire qualcosa alla società è solo diventata più forte. Il fatto che ora questa sia diventata una fondazione ha molto a che fare con il disastro dell’alluvione del 2021».

Ad Havertz viene chiesto se anche i suoi colleghi sono interessati alla beneficenza:

«Non tutti. Ma ho incontrato parecchi calciatori che si danno da fare per gli altri senza farlo pesare. Io cerco di vedere la realtà com’è. Ci sono molti momenti in cui mi chiedo: cosa sta accadendo nel mondo? La guerra in Ucraina è solo un esempio particolarmente lampante».

Havertz mostra una maturità e una sensibilità fuori dal comune:

«Il calcio non è la cosa più importante della mia vita. Non fraintendetemi: il calcio non è solo il mio lavoro, lo adoro. È un bel modo per rendere felici le persone. Ma ci sono cose cento volte più importanti: la mia famiglia, la mia ragazza, i miei cani, ora la fondazione».

L’intervista procede e si arriva ad un tema curioso, la passione per gli asini di Havertz:

«Non sono cresciuto direttamente in una fattoria, ma in un ambiente molto rurale. Avevamo un grande giardino e tanti animali: cani, cavalli, gatti, porcellini d’India. Quando ho compiuto 18 anni i miei genitori mi hanno fatto un regalo speciale: l’adozione a distanza di tre asini malati che sono stati salvati da un amico che ora è anche lui coinvolto nella fondazione. Gli asini sono sempre stati il ​​mio animale preferito».

Perché gli asini?

«Forse a causa del peluche che mi hanno regalato i miei genitori per aiutarmi ad addormentarmi. Gli asini mi affascinano. Sono animali molto calmi. Sono rilassati tutto il giorno».

In Inghilterra i calciatori non proprio forti vengono chiamati “asini”:

«Tutti al Chelsea sanno che anche a me piacciono gli asini. Alcuni giocatori a volte mi chiamano “asino”. Scherzo, non per le mie abilità calcistiche…».

Sul tempo che passa con gli asini:

«In realtà sempre dopo le partite, specialmente quando perdevo. Per me è puro relax. Sento una sorta di pace interiore, potevo staccare la spina in loro compagnia».

Si ritorna a parlare di calcio. I suoi primi allenatori sono stati Lampard e Tuchel:

«Con Lampard avevamo uno stile completamente diverso: tanto pressing, tanti contropiedi e lanci lunghi. Sotto Tuchel, la mia visione del calcio è completamente cambiata. Ogni piccolo dettaglio è importante per lui. Ogni centimetro. Come controlli la palla, come la passi con quale piede, come ti muovi. Era tutto di altissimo livello. Il fatto che con lui dopo sei mesi abbiamo vinto la Champions League la dice lunga».

Havertz ha rilasciato un’intervista anche al Guardian. Parla del rapporto con i giudizi dei tifosi:

«Quando sei giovane, leggi quello che dice la gente. Pensi: forse hanno ragione, forse sono un idiota, spazzatura a calcio. In un certo senso ci credi».

Continua:

«Bisogna essere equilibrati. Se stai giocando male, ciò non ti rende la persona peggiore sulla terra, così come i momenti in cui va tutto bene non sono reali. Se non segno, tutti sono arrabbiati con me, dicono che gioco da schifo, se poi segno tutti dicono che sono il miglior giocatore. La gente mi ama adesso, ma forse tra due settimane mi odierà di nuovo. Non importa quanto bene ho giocato, torno a casa e la mia ragazza vuole che metta i piatti nella lavastoviglie».

Havertz racconta che se perde non fa pesare la cosa in casa.

«Quando perdo sono di cattivo umore, ma sono maturato. La mia ragazza ha rinunciato a tutta la sua vita in Germania per venire qui, non voglio tornare a casa e rovinarle la giornata».

E sull’immagine che i tifosi hanno dei giocatori:

«C’è un’immagine dei calciatori tutti soldi e diamanti. Ho incontrato giocatori che spendono tanto, ma ci sono anche giocatori a cui non importa. Ho incontrato personaggi diversi. Toni Kroos è uno di loro: calmo, con i piedi per terra, non si preoccupa delle cose appariscenti. Sa che la vita non è solo calcio. N’Golo Kanté è un altro: ha lo stesso telefono da 10 anni, non gli importa delle macchine, non gli importa dei vestiti. Non puoi giudicare le persone per quanto spendono. Se questo li rende felici, non mi interessa. Forse nel loro cuore sono anche brave persone, vogliono solo comportarsi bene. A volte forse è una specie di protezione».

 

 

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