ilNapolista

Quagliarella: «Con me la buttano sempre sul tragico. Poi, quando mi stanno per seppellire, risorgo»

A Sportweek: «Oggi molti giovani hanno paura di sbagliare. Hanno poca personalità. Il mio Napoli non aveva la qualità di questo. Mi divertirei a giocarci».

Quagliarella: «Con me la buttano sempre sul tragico. Poi, quando mi stanno per seppellire, risorgo»
Bologna 14/03/2021 - campionato di calcio serie a / Bologna-Sampdoria / foto Image Sport nella foto: esultanza gol Fabio Quagliarella

Su Sportweek una bella intervista a Fabio Quagliarella. A fine mese compirà 31 anni, è al momento infortunato al ginocchio sinistro e resterà un bel po’ lontano dai campi, ma non ha alcuna intenzione di smettere, anche se ci sono buone probabilità che lo faccia.

«Ci ho pensato per più di un attimo. Ci sono altissime probabilità che io smetta a giugno, ma non avrei mai voluto che finisse così, a causa di un infortunio. Mi dicevo: cavolo, devo chiudere in questo modo? Era questo che mi faceva star male, più del dolore al ginocchio. Per fortuna la gravità della lesione è stata ridimensionata, anche se qualche giornalista mi aveva già dato per spacciato. Con me è sempre così. La buttano sempre sul tragico. Poi, nel momento in cui mi stanno per seppellire, risorgo».

Quagliarella continua:

«Oltre alla morte io ho un’unica, altra certezza: finirà quando lo dico io. Nessuno deciderà al mio posto. Certo non
pensavo di arrivare tanto avanti con l’età».

E come ci sei arrivato?

«Grazie al fatto di non averci mai pensato, appunto. Non ho mai fatto programmi a lunga scadenza. Ho vissuto il calcio anno dopo anno, e il fatto che pure i rinnovi, da un certo punto in avanti, diventassero annuali, mi andava benissimo. Ogni stagione era una scommessa con me stesso e alla fine facevo il resoconto: come sono stato fisicamente? Quanti allenamenti ho saltato? Quante partite ho giocato? Io faccio tutto quello che fa la squadra, in settimana non salto una seduta. Se qualcuno mi dice: forse sei stanco, riposa, stacca un po’, la prendo quasi come un’offesa. Non voglio che i miei compagni pensino che mi stia gestendo. Poi lo so che ho bisogno di recuperare un po’ di più e non posso fare 38 partite su 38. Ma neanche una ogni due mesi va bene…».

Nella tua longevità professionale quanto ha pesato la capacità di tenere separati il lavoro dalla vita privata? Quagliarella:

«Non so se è servito; di sicuro ho sempre detto che, nel bene e nel male, andavo giudicato per quel che facevo in campo, e mai avrei permesso che lo si facesse per la mia vita fuori. Mi sono sempre divertito, ma, come ripeto ai più giovani, usando la testa. Nel senso che se la squadra va male o io sono in un momento negativo, non è opportuno farmi vedere in giro, per rispetto verso me stesso innanzi tutto».

A Quagliarella viene chiesto quando ha capito di essere uno dei migliori attaccanti del nostro campionato. Ride:

«Non l’ho mai pensato, davvero. So di avere delle buone doti balistiche, di possedere una sorta di unicità nel provare soluzioni di tiro coraggiose… Avrei segnato di più se avessi cercato gol “semplici” invece di cercare sempre la soluzione più difficile, seguendo l’istinto».

Da dove arriva questo istinto?

«Da dove non lo so, so che nel tempo è stato sempre più accompagnato dalla consapevolezza di avere questi “colpi” e dalla crescente fiducia nel provarli. In allenamento prima che in partita. È quello che ripeto ai più giovani: se non tenti certe cose in allenamento, come puoi pensare di farle in partita? Oggi molti hanno paura di sbagliare. Hanno poca personalità e perciò hanno paura del giudizio dell’allenatore. Perfino io a volte vengo rimproverato per aver provato una giocata difficile quando ce n’era una più semplice a disposizione, ma il rimprovero mi entra da un orecchio e mi esce dall’altro. Anche perché sono il primo a rendermi conto di aver sbagliato».

Quagliarella parla dei gol fatti.

«Gol di fortuna non li ho mai fatti… Se avessi avuto il culo di altri attaccanti, avrei almeno 30 o 40 reti in più. Io i gol me li devo inventare, altri calciano senza quasi accorgersene e segnano».

Cosa dà più soddisfazione: un gol da pallonetto, di tacco o in rovesciata?

«La rovesciata la possono fare tutti. Il colpo di tacco pure. Il pallonetto, prima di realizzarlo, lo “vedi” nella tua testa, è studiato, è “letto”, voluto. E poi deve essere un gesto tecnicamente perfetto: io godo nel vedere la palla che disegna nell’aria una parabola che scavalca il portiere mentre quello resta a guardare a bocca aperta».

Quali sono le occasioni che ti sei lasciato scappare o che avresti potuto sfruttare meglio? Quagliarella:

«I momenti topici sono stati quelli in cui, ogni volta che vivevo un periodo positivo della mia carriera, succedeva qualcosa che spezzava l’incantesimo. Da Napoli, la mia città, son dovuto andar via per colpa di uno stalker che mi perseguitava. Alla Juve mi ruppi un ginocchio. Ma quello che mi è stato tolto, me lo sono ripreso da un’altra parte. Per esempio, diventando capocannoniere del campionato a 36 anni».

Cosa ti ha dato il calcio che non avresti trovato altrove e cosa ti ha tolto che invece avresti trovato dappertutto?

«Il calcio mi ha dato più di quanto gli ho restituito. Mi ha fatto conoscere tanta gente, e non parlo solo di compagni di squadra. Mi ha dato la notorietà, di cui ho cercato di godere senza mai apparire presuntuoso o arrogante, perché odio le persone di questo tipo. Mi ha dato l’affetto dei tifosi, dovunque sia stato, e che mi viene riconosciuto a distanza di anni. Io stesso torno sempre con piacere nelle città in cui ho giocato. E un complimento all’uomo Quagliarella vale più di tutti quelli fatti al calciatore».

C’è una maglia che senti addosso più di altre?

«Quella della Samp. È il club che ha aperto e che chiuderà la mia carriera. A Genova sono da quasi 9 anni e con la gente basta ormai uno sguardo per intendersi. Certo, non dimentico la fortuna di aver indossato anche solo per una stagione la maglia del Napoli».

Quanto ti piacerebbe giocare in questo Napoli?

«Un giocatore forte deve giocare coi giocatori forti. Il mio Napoli non aveva la qualità di questo. Perciò, sì, mi divertirei. Molto».

Quanto è cambiato il calcio nei tuoi 25 anni di carriera?

«Tantissimo. In passato c’era molto più talento. Anche le “piccole” avevano parecchi giocatori di qualità. Oggi il calcio è molto più fisico, vanno di moda i giocatori grandi e grossi. Sono stato marcato da Maldini, Costacurta, Nesta, Cannavaro, Stam, Samuel… Difensori che ti toglievano la palla non perché entravano forte e ti spaccavano in due, ma perché “leggevano” prima le tue intenzioni».

I tre attaccanti più forti di oggi e perché?

«Vengo attratto soprattutto da chi mette in condizione la punta di segnare. Penso a Milinkovic-Savic o Luis Alberto
alla Lazio: se Immobile segna con la sigaretta in bocca, è anche perché ha due come loro alle spalle. Un altro è Dybala».

Ti fa paura smettere? Quagliarella:

«Non mi fa paura, mi incuriosisce. Spero di restare nel mondo del calcio, e mi affascina l’idea di poter lavorare coi giovani. Anche per spiegargli alcune cose fuori dal campo, per esempio sull’utilizzo dei social. Direi: occhio a quello che posti ora, perché un domani potrebbero rinfacciartelo. Apprezzo Messi, che su Instagram mette foto senza commento. Di sicuro giocherei tanti anni ancora, ma so che non sarà possibile».

ilnapolista © riproduzione riservata