ilNapolista

Lea Pericoli: «A Wimbledon venivano tutti a vedere le mie mutande di pizzo. Minacciarono di squalificarmi»

Al CorSera: «Il tennis mi ha dato tutto, tranne il denaro. Agli uomini non va fatta la guerra: vogliono essere forti e fighi, basta lasciarglielo credere».

Lea Pericoli: «A Wimbledon venivano tutti a vedere le mie mutande di pizzo. Minacciarono di squalificarmi»

Sul Corriere della Sera un’intervista a Lea Pericoli. Ha 87 anni, ha sconvolto Wimbledon indossando piume di struzzo, brillantini, taffetà e pizzo. I suoi vestiti sono esposti al Victoria & Albert museum. La Pericoli racconta l’infanzia ad Addis Abeba, dove il padre, imprenditore, trasferì la famiglia dopo la guerra d’Etiopia. Visse la sua adolescenza in Kenya.

«Loreto Convent, a Nairobi: la più grande fortuna della mia vita. Dieci cattivissime suore irlandesi che tenevano
a bada 300 bambine scatenate. Giurami che non ti metterai mai in mezzo alle correnti, mi fa promettere mamma alla partenza. La prima sera mi ritrovo in una camerata con quattro finestre spalancate, un vento da regata. Penso: stanotte muoio. Ma sono bravina a cavallo, con il tennis appreso in Etiopia me la cavo. Era uno sport molto diverso, non si guadagnava una lira! Anzi: prendere soldi era proprio vietato. Infatti a me il tennis ha dato tutto, tranne il denaro».

E’ stata la musa di Ted Tinling.

«Il sarto più in voga dell’epoca, che per me confezionò (con intelligenza) cose arditissime! Papà, che era un uomo coraggioso ma molto severo, s’incavolò di brutto: Lea, scostumata, adesso vai a lavorare! Il primo anno a Wimbledon, era il ‘55, venivano tutti in processione a vedere le mie mutande di pizzo. La Federazione italiana minacciò di squalificarmi!».

La Pericoli dice di essere «follemente innamorata» della vita, di essersi fatta scivolare addosso tutto quello che le è
successo di negativo, compreso il tumore.

«Mi venne un cancro, stavo male, ero triste, perché tacere? Ti vedo palliduccia, mi dicevano incontrandomi. E io:
beh certo, ho un tumore. E quelli stupefatti, a bocca aperta! Parlarne, a quei tempi, era uno choc. Al professor Veronesi, un luminare, non parve vero: tappezzammo l’Italia di manifesti sulla prevenzione. Il cancro in fondo è come una partita a tennis: per batterlo preferisci avere tutto il pubblico che tifa per te. Non fu coraggio, fu piuttosto una richiesta d’aiuto, uno sfogo. Se ti tieni tutto dentro, se passi il tempo a piangerti addosso, è peggio. E ti viene l’angoscia».

La Pericoli riuscì a far uscire il tennis femminile dall’ombra di quello maschile. Le chiedono come ha fatto.

«Era un altro mondo, in effetti: le donne erano molto, molto suddite degli uomini. Ma non ho mai apprezzato
particolarmente le femministe, quelle che combattono a testa bassa i maschi. Agli uomini non va fatta la guerra: vogliono essere più forti, sentirsi più fighi, basta lasciarglielo credere. Io non ho mai voluto essere al pari degli uomini, ho voluto essere protetta semmai».

Su Nicola Pietrangeli:

«Non è che non abbiamo pensato ad avere una storia, ma io avevo sempre al fianco un’altra persona, lui almeno due! In compenso è nata un’amicizia infinita, lunga un’esistenza intera. Ci siamo pianti sulla spalla tante volte. Nicola si arrovella ancora oggi che va per i novanta: Lea, perché io e te mai?».

Panatta è stato il più bello? La Pericoli risponde:

«No. Umberto Bitti Bergamo, prima tennista e poi imprenditore, era il più affascinante in assoluto. Ho avuto una storia importante con Bitti. Purtroppo se n’è andato troppo presto».

Indro Montanelli la volle al «Giornale», firma della moda e del tennis.

«Fu così tenero con me… Soffriva di grandi depressioni, la segretaria mi chiamava: Lea, vieni subito che il direttore è in crisi. Lo portavo fuori a pranzo, si chiacchierava. Indro, vorrei scrivere di moda. E che ne sai, Lea? Tu mettimi alla prova. Cominciò così. Per la televisione invece devo ringraziare la voce e l’inglese: ai tempi nessuna lo parlava».

ilnapolista © riproduzione riservata