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Elisabetta Villaggio: «Mai passato un Natale con mio padre. Lavorava o viaggiava con gli amici»

A Specchio: «All’inizio i suoi genitori consideravano il suo successo una pagliacciata. Poi cominciarono a raccogliere gli articoli di giornale che lo riguardavano».

Elisabetta Villaggio: «Mai passato un Natale con mio padre. Lavorava o viaggiava con gli amici»

Specchio intervista Elisabetta Villaggio, figlia maggiore dell’attore scomparso, unica femmina: il fratello, Pierfrancesco, ha tre anni di meno. Riassume l’eredità spirituale di Paolo Villaggio in tre parole: «cercare la felicità». Poi aggiunge «anche non avere preconcetti e scappare a gambe levate dalla retorica».

Regista, sceneggiatrice e scrittrice, racconta la storia del padre e del fratello gemello, Piero. Nati nel 1932.

«Sono stati cresciuti insieme, stessa scuola e stessa classe. Si sono amati moltissimo, nella loro stellare diversità, fisica e intellettuale. Non credo siano mai andati a cena insieme in due, anche perché lo zio Piero era un inappetente, al limite dell’anoressia e mio padre, si sa, era un bulimico. Ma avevano un’intesa tutta loro, speciale».

Piero matematico, scienziato, Paolo l’artista.

«Benché super scienziato, benché uno dei più giovani docenti di ruolo alla Normale di Pisa, Piero aveva un lato buffo e inaspettato. Anzi, più volte, il papà ha detto che il vero comico della famiglia era lui. Da ragazzi, negli anni del liceo, facevano coppia ai bagni di Lido di Genova, improvvisavano scenette per divertire gli astanti. Non avevano testi scritti, spesso leggevano i necrologi, declamandoli e facendoli diventare delle gag. Da adulto, Piero viveva nel mondo astratto dei suoi numeri e cercava di perdere meno tempo possibile con le incombenze della vita quotidiana. Per esempio, non indossava mai le calze. Diceva che erano minuti sprecati ogni giorno. Si vestiva con abiti dismessi, i maglioni coi buchi. Nel tempo libero andava ad arrampicare, correva, era un super sportivo, anche in questo il contrario di papà».

Nel 1953, Paolo Villaggio conosce Maura Albites, che sarebbe diventata sua moglie.

«Mio padre aveva appena finito il Liceo e lei era poco più giovane di lui. Le famiglie erano molto contrarie a questa unione. La nonna paterna vedeva mia mamma troppo libera e poco studiosa. Avrebbe voluto una ragazza più borghese».

Ma anche gli Albites erano contrari al legame tra Paolo e Maura.

«Vedevano mio padre come un fannullone. Lui era iscritto all’Università, a Giurisprudenza, aveva fatto quasi tutti gli esami, però si dedicava già molto al teatro. Faceva spettacoli a livello amatoriale, viveva dai genitori e prospettive
non sembrava averne».

Poi Maura resta incinta di Elisabetta.

«Si sposarono che io ero già nata. Ma non mi è stato detto».

La sua nascita cambiò la situazione.

«Sì, nel senso che mio nonno disse a mio padre che era arrivato il momento di andare a lavorare! Attraverso una raccomandazione gli trovò un posto alla Cosider, quella che poi sarebbe stata l’Italsider. Fu costretto a mettere la
testa a posto, divenne impiegato per causa di forza maggiore».

Com’era Paolo Villaggio impiegato?

«Non era contento, non gli piaceva quella vita. Ed era anche un po’ assenteista. Una volta, io ero ammalata, non andai a scuola. Mia madre aveva da fare con mio fratello e mi lasciò a casa con lui: “Papà è di là che dorme”. Però, la sera, cambiava tutto. Noi piccoli venivamo mandati a letto mentre dal salotto arrivavano la musica, le risate, le canzoni, le voci di papà e di Fabrizio De Andrè, grande amico. Tanta gioia nell’aria».

Racconta di quando ha capito che il padre era diventato famoso. Nel 1968, quando lei frequentava la terza elementare, si trasferirono a Roma, ai Parioli.

«Papà era felice, felicissimo. Lo fermavano per strada, venivano i fotografi a casa nostra. Era sempre su di giri, stava facendo quello che aveva sempre voluto fare e finalmente c’era riuscito. Poi è uscito il primo di libro di Fantozzi ed è arrivato tutto il resto. Quando non aveva una lira, i nonni ci aiutavano, adesso poteva permettersi ogni sfizio. Come primo segno del nuovo status non comprò una casa: comprò una Jaguar».

I nonni, che reazione ebbero al successo di Paolo Villaggio?

«All’inizio non erano contenti, la vedevano come una pagliacciata, lo confrontavano con Piero, il figlio professore e con i loro amici medici e ingegneri. Quando hanno capito hanno cominciato anche loro a raccogliere gli articoli di giornale che lo riguardavano».

Lei come visse la trasformazione?

«A me la troppa attenzione un po’ infastidiva, c’era molta pressione su di lui, un’attenzione a volte eccessiva, infatti non volevo che mi venisse a prendere a scuola perché le maestre si agitavano moltissimo. Crescendo, maturai l’idea di distanziarmi un po’. Ero iscritta all’ultimo anno di filosofia a Bologna quando andai a fare una specie di periodo sabbatico a Los Angeles, il più lontano possibile. Mi chiamavano Elizabeth e il mio cognome non suscitava alcuna curiosità. Mi fermai qualche mese per poi tornare in Italia dove, tramite mio padre, andai a lavorare sul set di C’era una volta in America. Carla, la moglie di Sergio Leone voleva produrre un backstage del film e aveva bisogno di una persona un po’ jolly che facesse da assistente e che parlasse bene l’inglese. Il backstage non si fece mai perché Robert De Niro non voleva gente intorno. Ricordo che una volta facemmo delle riprese mentre cast e troupe mangiavano in pausa e lui si seccò. Tornai a Los Angeles e ci rimasi cinque anni, conobbi anche quello che sarebbe diventato il padre di mio figlio. In Italia pativo il fatto di essere vista come una raccomandata, stare lontano mi rafforzò».

I suoi genitori sono sempre stati insieme, fino alla morte di Paolo.

«Ci sono state tensioni anche molto pesanti tra di loro, la mamma ha dovuto sopportare molto. Però credo che per lui, lei fosse imprescindibile, anche perché era la persona che non aveva mai avuto nemmeno l’ombra di un’esitazione sul suo talento. Quando, da ragazza, litigava con sua madre che le diceva “Trovati uno che abbia un lavoro vero, anche uno spazzino ma purché sia un lavoro vero”, lei rispondeva “Voi non vi rendete conto di quello
che diventerà”. Per lui questo atto di fiducia era vitale».

Com’era Natale a casa Villaggio?

«Non c’era! Quando io e mio fratello eravamo piccoli, lo trascorrevamo dai nonni, mentre papà e mamma erano in crociera, dove spesso mio padre lavorava per intrattenere oppure viaggiavano con amici. Ma alla nonna le feste non interessavano, non si faceva nulla di speciale. Quando è nato mio figlio mi sono imposta e abbiamo cominciato a fare dei Natali come si deve».

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