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Alvaro Vitali: «Le commedie sexy piacciono molto ai preti. I parroci di provincia mi organizzano le serate»

A La Repubblica: «Cambiavo macchine ogni tre mesi. E donne. Ero invidiatissimo. Ho salvato la commedia italiana. Poi nessuno mi ha fatto più lavorare» 

Alvaro Vitali: «Le commedie sexy piacciono molto ai preti. I parroci di provincia mi organizzano le serate»

Alvaro Vitali si racconta in una lunga intervista a La Repubblica. Parte da quello che faceva prima di diventare attore: l’elettricista.

«L’elettricista a Trastevere. Un giorno venne a trovarmi uno del mio quartiere, Pippo Spoletini, che di mestiere faceva il capogruppo sui set: reclutava le comparse per il cinema. Mi disse che Federico Fellini cercava un ragazzino magro come me. “Chi è Fellini?” gli chiesi. Io al cinema andavo a vedere i film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Era il 1969, avevo diciotto anni. Facevo il ragazzo di bottega in un negozio di piazza Mastai. Il principale, Gino Segarelli, mi passava 16mila lire a settimana».

Il cinema non fu una vocazione, spiega Vitali:

«No, fu un grande regalo della vita. Il sabato successivo mi ritrovai nel teatro numero 5 di Cinecittà, circondato da clown, mangiafuochi, ballerine. Mi fecero attendere sette ore seduto su una panchina. Poi fecero entrare me e un ragazzo napoletano in una sala enorme, avevo un faro puntato contro alle cui spalle scorsi una macchina da presa enorme. Su una scala svettava un signore di cui, accecato, distinsi soltanto il capello e una sciarpa».

Era Fellini.

«Disse soltanto, con voce stridula: “Chi di voi sa fare il fischio del merlo?” Fischiai a tutti i polmoni. La vocina disse: “Maurizio, prendi lui che l’altro sta ancora aspettando il merlo».

Era un test su chi fosse più sveglio e motivato, racconta Vitali, test che passò lui. Il film era “Satyricon”. Ebbe una particina come imperatore per un compenso di 70mila lire al giorno per sette giorni di lavoro, praticamente, in un giorno, guadagnava quello che prendeva come elettricista in un mese. Eppure tornò a lavorare in bottega. Fellini, però, lo andò a chiamare per altri film, mentre dalla bottega veniva licenziato per le frequenti assenze. Vitali parla del regista. «Fellini è stato di una generosità enorme con me».

Con i primi soldi guadagnati con il cinema Vitali comprò una casa alla nonna. Parla della sua famiglia.

«Papà aveva una piccola impresa edile a conduzione familiare. Mamma gestiva un baretto nello stabilimento della Titanus sulla Tiburtina. Vivevamo in via San Francesco a Ripa, a Trastevere. Mamma portava i cestini sui set. Lei e papà fecero pure le comparse per Napoli milionaria, il film di Totò».

Che scuole ha fatto? Vitali:

«Ho abbandonato dopo la terza media. Ne combinavo di ogni colore. A otto anni mi trasferii dalla nonna, in via della Luce. Una mattina feci fagotto e andai via: con mia madre erano litigate continue. Ho vissuto con mia nonna fino a 32 anni. Fellini era intenerito da questa storia, se la faceva ripetere spesso».

Come arriva alle commedie scollacciate?

«Amarcord mi diede notorietà. Il regista Nando Cicero, che era stato l’aiuto di Francesco Rosi, stava preparando “L’insegnante”, con Edwige Fenech. Mi chiamò. Dovevo interpretare un alunno siciliano che le sbavava dietro. Non poteva chiedermi di meglio: mi ero sempre ispirato a Lando Buzzanca».

Fu l’inizio di una serie interminabile di commedie soft-erotiche.

«I cinema scoppiavano. La lavorazione durava tre settimane: costi all’osso e incassi mirabolanti. Una manna».

Vitali ha fatto circa 150 film, passandosela bene.

«Cambiavo macchine ogni tre mesi. E donne».

Continua:

«Ho lavorato con le principali sex simbol degli anni Settanta. Ero invidiatissimo».

Su Edwige Fenech:

«Era una sorella. Veniva con noi in mensa. Aveva un bimbo piccolo, Edwin, che mangiava solo perché io lo facevo ridere. Da grande è diventato un produttore, purtroppo non mi ha mai chiamato».

Gloria Guida? Vitali racconta:

«Mi ricordo l’imbarazzo che provò la prima volta che si dovette togliere il reggiseno sul set».

E poi Michela Miti, Nadia Cassini, Sofia Loren («Oh, Sofia, grandissima! Un’altra che non se la tirava»).

Chi vedeva quei film?

«Il popolo! L’Italia profonda. Soprattutto comitive di ragazzetti. L’élite invece ci disprezzava. Oggi invece in tanti anche delle classi colte li guardano volentieri quando passano in tv. Erano prodotti con tempi comici ben fatti. Piacciono molto ai preti. Me lo confessano loro stessi. Faccio ancora molte serate in provincia, talvolta sono organizzate dalle parrocchie. Spesso il sacerdote mi prende in disparte e mi confida la sua ammirazione».

Vitali recitava sempre la stessa parte: quella del ragazzino imbranato turbato dalla bellona di turno.

«In quell’Italia provinciale molti si identificavano in me: rappresentavamo un immaginario erotico. Erano una presa in giro, a bene vedere, del maschio italiano: della sua doppia morale. Tutta casa e famiglia in apparenza, e fuori invece gran peccatore. La presa in giro del latin lover nostrano».

Come ripensa Vitali a quell’Italia?

«Con nostalgia. Mangiavano tutti. E noi abbiamo fatto ridere un’intera generazione».

È famoso più per i film di Pierino o per le commedie sexy?

«Non so. Certo Pierino fece il botto. Pierino contro tutti frantumò tutti i record d’incassi. Era il 1981. E io avevo 31 anni».  

Quanto era famoso?

«Non potevo entrare in un ristorante. Non avevo vita privata. Il successo può diventare una prigione: devi stare attentissimo, essere sempre disponibile con la gente».

E poi a un certo punto lei è scomparso. Vitali:

«Sì, il telefono ha smesso di squillare».

Il filone si era esaurito? Vitali:

«Non è vero. In quegli anni partì quello dei cinepanettone. Potevo entrarci. Invece niente. Nessuno mi ha fatto più lavorare. Non me lo spiego. Ero popolarissimo. E lo sono ancora a 72 anni. Mi fermano per strada, mi chiedono i selfie. “Alvaro, tu sì che ce facevi divertì”, dicono. Ho pure vinto il Leone d’Argento alla carriera».

Vitali ammette che gli piacerebbe rifare quei film, «ma non ci sono più gli attori di quel tempo» e aggiunge:

«Il cinema l’ho salvato io. La commedia italiana sì, dai. Stava morendo negli anni Settanta».

È vero che ha sofferto di depressione?

«Sì. Non me annava de fa’ gnente. Non volevo più vedere nessuno. Non rispondevo più nemmeno al telefono. Mi mancava l’aria. Un periodo terribile. Mi è stata vicina con pazienza mia moglie, Stefania Corona. Mi portava con sé alle sue serate, lei canta; era un modo per riportarmi nell’ambiente. E’ stata una ripresa lenta, faticosa».

Ora Vitali arrotonda facendo spettacoli nei teatri, soprattutto al Sud. Prende 1200 euro di pensione, racconta.

«Mi hanno fregato un sacco di contributi. Le case di produzione mi pagavano a giornata, ma su trenta me ne segnavano dieci al massimo. Così per anni. Non c’era internet, non c’erano i controlli di adesso, ed io mi sono fidato».

Non ha mai badato al futuro, quando era sulla cresta dell’onda.

«Quello è stato il mio errore. Ogni sei mesi mi arriva però un assegno per i passaggi televisivi dei miei film, per il resto campo delle serate».

 

 

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