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Jury Chechi: «Ad Atlanta non riuscivo a fare pipì per l’antidoping. Mi sbloccai con due dita di birra»

Al CorSera: «Non ho mai fatto sacrifici, solo scelte. Sacrificio è quando devi fare qualcosa che non ti va: io ho sempre fatto ciò che mi piaceva, con rigore e disciplina».

Jury Chechi: «Ad Atlanta non riuscivo a fare pipì per l’antidoping. Mi sbloccai con due dita di birra»
Db Milano 09/10/2020 - Festival dello Sport / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Yuri Chechi

Il Corriere della Sera intervista l’ex ginnasta Jury Chechi, anche noto come “il signore degli anelli”. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta 1996 e medaglia di bronzo ai Giochi di Atene del 2004, ma nel suo palmares ci sono anche 5 titoli mondiali e 4 titoli europei. Si è ritirato dalla carriera agonistica nel 2004, oggi fa il commentatore sportivo in tv e insegna nella sua «Jury Chechi Academy».

Commenta la bufera che ha coinvolto le Farfalle, nella ginnastica ritmica. In un’intervista rilasciata a Libero qualche settimana fa, disse:

«Al momento purtroppo gli standard sono questi: sbagliati (ci tengo a ribadirlo) ma sono questi. Le giurie e le federazioni internazionali vogliono quel tipo di ginnastica e quel tipo di fisicità. Se si vogliono vincere le medaglie, sono queste le regole del gioco. Per me è sbagliatissimo e naturalmente non giustifica le vessazioni e le umiliazioni, sulle quali è giusto indagare».

Al CorSera Chechi dichiara:

«Aspetto la conclusione delle indagini. E se fosse tutto vero si dovrebbe trovare una soluzione affinché certe cose non si ripetano. Mi pare comunque strano che la federazione sia caduta dal pero dichiarando di non saperne nulla».

Gli chiedono se ai suoi tempi ci fossero episodi di body shaming. Risponde:

«A livello maschile dico di no. Peraltro per tutti noi ginnasti il rapporto con il cibo è laborioso e complicato».

I sacrifici imposti dalla ginnastica sono spiegabili? Jury Chechi:

«La verità è che non ho mai fatto sacrifici, ma solo scelte: a 14 anni ho deciso di trasferirmi a Varese perché lì c’erano strutture e condizioni per compiere un salto di qualità. Sacrificio è quando devi fare qualcosa che non ti va: io ho invece sempre fatto ciò che mi piaceva, usando però sempre rigore e disciplina».

La ginnastica è soggetta alla valutazione dei giudici. E non sono mancate le polemiche. Chechi ha sempre avuto la sensazione di essere stato valutato in modo corretto?

«No. E non sempre gli errori sono stati commessi in buona fede, il che sarebbe stato in qualche modo giustificabile»

Ma anche a lui sono stati perdonati degli errori.

«Può capitare l’opposto rispetto al cliché abituale della decisione contraria. Anche a me è successo di vedere perdonati alcuni errori: ho vinto gare che forse avrei dovuto perdere».

Jury Chechi racconta la notte dell’oro olimpico ad Atlanta.

«La differenza l’ha fatta il lavoro».

Non riuscendo a fare pipì per il controllo antidoping, rimase sul luogo del trionfo fino alle 3 del mattino.

«Da giorni bevevo pochissimo! Volevo andare a dormire e imploravo di darmi la birra, che è diuretica. No, la birra no, ribattevano. Alla fine me ne hanno date due dita: sono bastate».

Jury Chechi ammette di temere il decadimento fisico.

«Assolutamente sì. Ci lavoro giornalmente per combatterlo, anche se prima o poi dovrò affrontarlo».

Lei è un fautore dell’allenamento calistenico: ce lo spiega?

«Unisce la forza alla bellezza del gesto. Propone gli esercizi di base della ginnastica artistica, adatti a tutti. Eseguiti al meglio, evitano il decadimento fisico di cui parlavamo».

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