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I primi trenta minuti del secondo tempo di Lobotka

Ha dettato i tempi del pressing, ha recuperato palloni a volte impossibili. Kvara come Mr. Crocodile Dundee. Le prestazioni di Olivera e Ostigard

I primi trenta minuti del secondo tempo di Lobotka
Mg Verona 15/08/2022 - campionato di calcio serie A / Hellas Verona-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Stanislav Lobotka

Uscire amareggiati perché si è perso ad Anfield Road (dove ci hanno lasciato le penne quasi  tutti negli ultimi anni) contro una squadra che ha fatto tre finali di Champions League negli ultimi cinque anni e nonostante si mantenga il primo posto in classifica la dice lunga su quanto siano ben abituati, ormai, i tifosi azzurri, e di converso su quanto forte sia diventato il Napoli.

E’ una sconfitta che può starci, che ha dato – ad avviso di chi scrive – molte conferme su quanto di positivo lo stesso Napoli ha fatto fino ad oggi e può fare in futuro, così come non pochi spunti su quanto ancora migliorabili siano sia alcuni meccanismi della manovra offensiva e difensiva, sia alcuni atteggiamenti di alcuni singoli in determinate fasi di gioco.

Molte note positive, insomma, ma anche alcuni dettagli negativi che impongono serie riflessioni da parte degli interessati, perché a certi livelli, spiace dirlo, se cali l’attenzione anche solo per due minuti o non esegui il corretto movimento che la fase di gioco a cui stai partecipando richiede, poi paghi un conto salato.

Perché, sempre per scomodare il vecchio saggio, “se fai tutto giusto non è sicuro che vinci, ma se fai tutto sbagliato è sicuro che perdi”.

Soffermiamoci sulle note positive, poi andremo ad analizzare quelle negative.

NOTE POSITIVE:

  1. Le prestazioni di Olivera ed Ostigard

Il primo, ad avviso di chi scrive, è stato il migliore in campo.

Innanzitutto, non si è d’accordo con la distinzione più volte spesa rispetto alle differenza tra l’esterno difensivo uruguaiano e Mario Rui, quella secondo cui il primo avrebbe più “gamba” e più doti atletiche, mentre il secondo avrebbe più doti di palleggio.

Sicuramente Mario Rui ci ha in questi anni abituati ad una notevole qualità nella fase di impostazione dell’azione, peraltro  facilitato dall’essere il quarto di sinistra basso su cui si è gioco forza dovuto insistere per via di carenza di alternative, ciò che lo ha fatto sempre utilizzare e gli ha dato una perfetta conoscenza dei compagni con cui di volta in volta ha dovuto relazionarsi.

Mario Rui è, indubbiamente, un giocatore con una tecnica di base eccellente, che gli consente di essere utilizzato come “muro di sponda” per ogni giocata che la sua squadra fa, specie nella “catena” a tre di sinistra e nella fase di risalita del pallone.

Ma Olivera, rispetto al quale non possono che confermarsi le doti atletiche che gli vengono attribuite, non è da meno sotto questo punto di vista.

Ieri, infatti, non solo non ha sbagliato una sola diagonale difensiva rispetto alle azioni di contropiede (e di impostazione classica del gioco) avversaria, sempre presente nella sua zona di competenza quando c’era da saltare di testa e chiudere la linea a quattro sui traversoni del Liverpool che arrivavano dalla parte opposta del campo, ma ha mostrato – lui ed a sua volta – eccellenti doti di palleggio e di tecnica di base.

Ogni volta che gli veniva recapitato addosso il pallone da parte dei compagni o di Meret, in qualsiasi fase ciò avvenisse (se in appoggio durante un palleggio in uscita o come scarico dal portatore di pallone o su rinvio con i piedi del portiere), in qualsiasi modo ciò avvenisse (sia con il pallone rasoterra, sia con il pallone a mezz’aria), non ha sbagliato uno stop (dicasi uno!) ed  una postura (dicasi una!) con cui posizionarsi per ricevere il pallone in modo sia da proteggersi dall’intervento avversario, sia da orientare il pallone stesso per la successiva giocata.

E’ stato impressionante in questa fase di gioco, anche per la tranquillità con cui ha sempre eseguito queste giocate, peraltro in una zona del campo nevralgica (se perdi il pallone in quei frangenti non ha compagni dietro pronti all’intervento) e ad altissima densità di avversari.

Ha consentito l’agevole risalita del pallone ogni volta questo venisse riconquistato (molto spesso da lui, altre volte dagli altri) ed i compagni, ormai accortisi che l’uruguaiano è appunto anche un ottimo palleggiatore, lo cercano tantissimo nell’uscita da dietro, che viene spesso effettuata proprio utilizzando il difensore uruguaiano e Kvaratskhelia come suo primo appoggio.

Per non dimenticare lo scatto di 50 metri con cui alla fine della partita  si getta ad inseguire l’avversario in contropiede, tagliando il campo in un’insolita diagonale difensiva iniziata dal vertice destro (per chi attaccava) dell’area avversaria fino al vertice destro (per chi difendeva) della sua area, neutralizzando una chiara azione da gol, e vincendo il duello uno contro uno in cui si era ingaggiato battezzando la giocata difensiva sulla seconda palla conquistata dal Liverpool nella propria tre quarti.

Una partita mostruosa, insomma.

Come una grande partita è stata quella di Ostigard.

Non dimentichiamoci che il ragazzo fino all’altro ieri lottava per non retrocedere con il Genoa e che, nonostante sia stato di fatto proiettato senza preavviso in un palcoscenico tale da far tremare le gambe di per sé (per il valore della competizione e dell’avversario e, perché no, per lo stadio e la sua atmosfera), ha sfornato una prestazione ineccepibile.

Per piglio, dedizione ed attenzione, oltre che per feeling con Kim, con cui, in fase difensiva sul  contropiede avversario, si è più volte scambiato la posizione ora per andare lui a prendere il portatore di palla lanciato a rete  lasciando la sua zona di pertinenza al coreano, ora per compiere la giocata difensiva inversa .

Ma anche per fisicità (non mi ricordo che abbia mai perso un duello aereo od a terra con l’avversario di turno) e letture preventive che gli hanno sempre consentito di essere al posto giusto nel momento giusto (sia sulle seconde palle che ieri hanno “ballato” in grande numero sulla trequarti del Napoli, sia sugli interventi di testa a cui è stato più volte chiamato).

Con ottima abilità nel palleggio in fase di impostazione e con il piglio del grande  difensore quando si è accorto che, per il non corretto posizionamento della linea difensiva, era invece il caso di ribattere lungo il pallone.

Il gol annullato è stato un effetto di quanto sopra, oltre che dimostrazione di grande personalità e, ancora, dei grande fisicità: non si esce dai “blocchi” della difesa del Liverpool e non ci si ritrova a colpire la palla di testa (e che palla, quella  di Kvaratskhelia!) a tu per tu con il portiere avversario senza queste doti che il giocatore ha, appunto, mostrato durante tutta la partita.

  1. I primi trenta minuti del secondo tempo di Lobotka.

Molti, stupiti per il livello del rendimento e delle prestazioni a cui che lo slovacco aveva abituato, nel giudizio su quest’ultimo più volte si sono lasciati andare all’adagio per cui lo si sarebbe voluto vedere in partite di difficoltà come quella che stiamo commentando.

Eccoli accontentati.

Nel primo tempo Lobotka ha faticato, complice, ad avviso di chi scrive, la serata no di Anguissa e, soprattutto, di Ndombele, che nella prima frazione di gioco non hanno dato al regista del Napoli né le solite sponde che questo utilizza (per triangolazioni sul corto raggio) per la risalita del pallone e per condurlo sempre faccia al campo, né le solite alternative in fase di primo appoggio da parte di Meret o della linea difensiva che gli consentono di potersi liberare dalla marcatura avversaria ed andare a ricevere il pallone dieci metri più avanti (senza pressing).

Nel secondo tempo, però, complice anche il palese miglioramento di Anguissa nelle fasi di gioco sopra accennate, Lobotka è salito in cattedra ed ha fatto vedere cose mirabolanti, per quanto – come al solito avviene quando si parla dei registi – poco appariscenti ai più.

Ha dettato da maestro i tempi del pressing a tutta la sua squadra, ha recuperato palloni a volte impossibili, sapendo sempre quale sarebbe stata la giocata che l’avversario di turno avrebbe fatto e quindi anticipandone l’esecuzione, è rimasto sempre in piedi nei contrasti con una forza di gambe spaventosa, ha dettato, sempre a sua volta, anche modi e tempi di gioco nella risalita del campo avversario.

Con una sagacia d’altri tempi, senza mai aver paura di farsi giocare il pallone addosso dal compagno in difficoltà.

Soprattutto declinando la sua tipica giocata che al momento non ha eguali in Europa.

Quella con cui, una volta ricevuto il pallone anche in un imbuto di giocatori avversari, guadagna costantemente metri e campo (e così li fa guadagnare a tutti i suoi compagni); ogni volta che il regista slovacco riceve palla ed è pressato, anche se sembra perdere un tempo di giocata, riesce sempre a liberarsi dell’avversario (spesso anche di più  avversari) con una prima accelerazione dopo il controllo della palla che pare impressionante.

Lobotka ha una rapidità nel girarsi su se stesso e nel capire quale sia la direzione da imprimere alla corsa ed al pallone per liberarsi dalle marcature, ha una velocità di esecuzione del dribbling e del controllo orientato del pallone, una frequenza di passi ed una velocità nello scattare per andare verso quella direzione così “battezzata”  come giusta  che al momento non ha eguali in Europa nel suo ruolo.

Anche ieri, questa giocata l’ha effettuata almeno cinque volte (in tutte le zone della sua tre quarti), e per tutte e cinque le volte ha mandato a vuoto il pressing avversario uscendone senza praticamente confronto, senza spendere la benché minima agitazione, sempre con una calma di cui beneficia tutta la squadra.

Che sa di avere a che fare con la classica “banca” a cui affidare la palla nei momenti in cui scotta.

Se questo è il livello di Lobotka, mostrato anche contro il Liverpool, allora il Napoli ha trovato un regista tale da scomodare paragoni che si reputavano blasfemi fino a soli due mesi fa.

  1. La prestazione di Kvaratskhelia.

Avete presente quella scenda del film “Mr. Crocodile Dundee” in cui il protagonista, insieme alla sua compagna, in città viene affrontato da una banda di teppisti che tenta di rapinarlo mostrandogli un coltello? Quella in cui la sua compagna gli dice di dare ai ragazzi tutto quello che vogliono perché hanno in mano appunto il coltello? Quella in cui lui le risponde “un coltello quello? Questo è un coltello!” e tira fuori la specie di machete che ha nella cinta dei pantaloni facendo così scappare chi voleva rapinarli?

Ecco, tutto questo mi è venuto in mente ieri guardando la partita ed il duello tra il georgiano e Alexander Arnold.

Mi immaginavo la scena in cui un tifoso del Liverpool a caso, tutto orgoglioso, mi diceva prima della partita che nella sua squadra c’era un giocatore (un terzino destro) con capacità atletiche e fisiche impressionanti; ed io che, durante la partita, gli rispondevo  “quello sarebbe il giocatore con fisicità e capacità atletiche?” e nel frattempo, ridendo, gli indicavo Kvaratskhelia dicendogli che quello era il giocatore da valutare in questo senso.

Ecco, questo è quanto.

Il campione georgiano ha portato a spasso per tutta la fascia di competenza il terzino del Liverpool, scherzandolo sotto tutti i punti di vista.

Sotto quello atletico, asfaltandolo ogni volta decidesse di puntarlo in velocità e di sfidarlo a campo aperto praticamente buttandosi il pallone in avanti dritto per dritto e prendendogli almeno due metri in ogni progressione, come per esempio nell’azione in cui poi cade rovinosamente addosso al tabellone pubblicitario dietro alla linea di fondo avversaria.

E sotto quello tecnico, facendogli fare una pessima figura ogni volta, invece, decidesse di sfidarlo all’uno contro uno, quasi come fosse un esercizio da allenamento, come per esempio nell’azione in cui recapita la palla a Ndombele che purtroppo tira troppo debole addosso al portiere.

Ciò detto, epocali (anche perché in mondo visione) sono state le due giocate con cui Kvaratskhelia (al primo ed al settimo minuto del primo tempo):

– dopo aver ricevuto il pallone sulla corsa in fase di risalita del campo in una delle sue classiche azioni di contropiede;

– effettua un semi arresto della corsa, approfitta della postura dell’avversario di turno, il quale va a contrastarlo invece continuando la sua corsa (ciò che lo costringe a stare a gambe larghe durante il tentativo di contrasto stesso);

– gli fa passare il pallone sotto le gambe, liberandosi del marcatore (correggendo la corsa propria e del pallone da modalità verticale a modalità di taglio del campo di tre quarti) con un semplice tunnel  (che in quel momento del gioco è tutt’altro che un vezzo per esteti, ma è un vero modo di dribblare il difendente e riprendere la corsa senza avversari davanti);

– per poi o cambiare piede e con il sinistro aprire il gioco con lancio di 40 metri, o puntare a rete per andarsi a prendere un fallo in area che qualsiasi arbitro (ad eccezione di quello di ieri) avrebbe giustamente battezzato come rigore.

  1. La prestazione di Osimhen.

E’ stata, ad avviso di chi scrive, notevole.

Per come, in particolare, si è messo al servizio dei propri compagni nella fase di risalita del campo, anche effettuata attraverso palle alte giocategli addosso o nella sua zona di competenza, che il centravanti nigeriano si è sempre andato a prendere con colpi di testa in terzo tempo (nella prima frazione di gioco non ne ha sbagliato uno) o si è sempre andato a gestire di fatto senza mai sbagliare il controllo e la giocata di “scarico” per il compagno più vicino.

Sempre attento anche in fase prettamente difensiva, specie sui calci d’angolo avversari.

Sempre attento e concentrato, sempre in grado, appena possibile, di trasformare il capo aperto un un’occasione da gol per la sua squadra.

Non è un caso che dopo la sua sostituzione e quella di Kvaratskhelia il Liverpool abbia preso campo  (perché non c’era più la paura di lasciare spazio aperto dietro la propria linea difensiva) e coraggio (perché consapevoli che senza i due campioni del Napoli la partita sarebbe diventata più facile).

NOTE NEGATIVE:

  1. Meret.

Si, è vero, ha fatto due parate molto belle, soprattutto quella sull’azione in cui si è trovato Salah a tu per tu.

Però a questi livelli le prestazioni le si giudica anche solo sui dettagli, e sono questi a fare la differenza o, spesso, a rendere un giocatore fortissimo o semplicemente buono.

Ed allora, purtroppo, non si può non dire che ancora una volta si è mostrato poco rapido nella lettura dell’azione avversaria quando il Liverpool (in particolare Salah) ha trovato  l’imbucata in grado di mettere a tu per tu con il portiere il proprio attaccante avversario.

In quell’azione Politano è sicuramente posizionato male e per ciò crea il corridoio per il passaggio di Salah; ma Meret non può non rendersi conto che la palla finirà lì, non può non rendersi conto che spetta a lui, con uscita bassa tempestiva, andare a mettere una pezza sull’errato posizionamento dei compagni e, quindi, non può non agire con una rapidità tale da essere già lì, per terra, quando il pallone arriva nella zona in cui arriva.

Invece no, esce ancora una volta con paura (gira anche la faccia) e con ritardo di movimento e lettura, e questo non va bene.

Stessa cosa sui due gol su calcio d’angolo presi in modo “gemellare”.

In entrambi sta troppo sulla linea di porta, anzi nel calcio d’angolo del primo gol sta addirittura dietro la linea della porta quando compie (tenta di compiere) l’intervento sul colpo di testa, e non è li che deve stare, posto che nel calcio d’angolo del secondo gol la palla scende così lenta ed arriva in una zona tale che avrebbe anche consentito l’uscita per cercare quanto meno di respingerla.

  1. Kim.

Se ne erano, giustamente, tessute le lodi sotto ogni punto di vista: atletico, tecnico, di personalità.

Vale anche qui il discorso fatto per Meret: anche se può sembrare che si tratti di dettagli, ebbene sono questi che determinano, a certi livelli, i destini di un calciatore e di una squadra.

Ieri sera, insomma, non è andato bene.

Ha mostrato non solo un paio di palesi sbavature in fase di costruzione dell’azione che potevano costare molto care, ma anche e soprattutto mancanze nei due calci d’angolo che hanno portato ai due gol del Liverpool.

Si perde l’uomo di riferimento (Van Dijk)  facendosi saltare addosso, ed anzi nemmeno provando a saltare per contrastarlo.

Vero è che, come più volte detto, chi salta per andare a prendere il pallone calciato dal compagno è più avvantaggiato per il terzo tempo, per lo slancio della corsa  e perché salta faccia al pallone.

Ma è vero anche che non si può perdere così l’uomo che ti va a saltare in testa.

Kim, in quel frangente, non solo mostra scarsa attenzione dei movimenti dell’avversario oltre che della traiettoria del pallone, ma non prova nemmeno a contrastare od ostacolare lo stesso avversario né nell’inizio della sua corsa, né al termine della stessa quando stacca.

  1. Ndombele.

Ha stupito chi scrive vederlo in campo al posto di Zielinski.

Forse Spalletti lo ha scelto proprio per quelle doti – che più volte abbiamo incensato – che il giocatore ha mostrato nel riuscire a liberarsi dal primo pressing avversario in fase di costruzione dal basso, che avrebbero consentito di giocare azioni in campo aperto in fase di risalita del pallone.

Ieri, però, è apparso chiaramente macchinoso, lento e prevedibile, oltre che  del tutto assente nella riconquista del pallone  e nella densità da opporre al Liverpool dietro alla linea del centrocampo, mettendo speso in difficoltà Lobotka e compagni dopo un paio di palle perse proprio in quella fase dell’azione.

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