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Gigi Riva: «Il calcio di oggi non lo guardo, è troppo lento. Incontrai De André, rimanemmo un’ora zitti»

Al Venerdì: “Io giocavo per non pensare alla sofferenza. Mi ritrovai il bandito Mesina in macchina, non voleva che lasciassi Cagliari”

Gigi Riva: «Il calcio di oggi non lo guardo, è troppo lento. Incontrai De André, rimanemmo un’ora zitti»
Bildnummer: 01425895 Datum: 01.06.1970 Copyright: imago/Sven Simon Luigi Riva (Italien) trinkt einen Espresso; Vneg, Vsw, quer, close, trinken, Durst, durstig, Getr‰nk, Tasse, Kaffee, Koffein Weltmeisterschaft 1970, Nationalmannschaft, Nationalteam Toluca Freizeit Fuflball WM Herren Mannschaft Einzelbild Privatbild Personen

L’immagine è Gigi Riva che non esce più di casa. Se ne sta tutto il giorno in poltrona a fumare, all’ultimo piano di un condominio di Cagliari. “Ricordati di bere e di camminare per almeno quindici minuti”, dice su un cartello scritto a stampatello dal figlio Nicola. Il Venerdì di Repubblica ha intervistato quest’uomo solitario, a volte depresso, che ha fatto la storia del calcio italiano, e che usava il pallone per distrarsi dalle sofferenze.

Riva dice che non vede le partite di calcio. “Perché il calcio di oggi mi annoia. È così monotono, si passano la palla da una parte all’altra del campo, aspettando soltanto che si apra un varco. Troppo lento. Noi eravamo più rapidi, andavamo presto in verticale. E via a cercare il gol”.

Per me il gol era la liberazione, voleva dire passare poi una settimana tranquilla, aver fatto bene il mio lavoro”. “Era la rabbia che esplodeva. Nel calcio ho trovato quello che la vita non mi aveva dato. Non ho avuto un’infanzia facile, ho perso mio padre, mia sorella e mia madre, dimenticavo tutto per un momento soltanto quando giocavo a pallone. E a Cagliari ho avuto un po’ di serenità, un minimo, anche grazie ai miei compagni che mi hanno sempre aiutato. E grazie alla Sardegna che ha sempre manifestato grande affetto”.

“Nella vita ero passato da un pianto all’altro. Qui tutto mi sembrava meno doloroso. Per forza ho rifiutato tre trasferimenti” al nord.

La depressione “la porto addosso, ci sono abbonato. Ci sono cascato dentro quando ho smesso di giocare. Mi schiacciava. Ma ora sto meglio”.

Nell’intervista parla – poco, come al solito – di politica. E contro il governo Meloni, gli piaceva Draghi. E racconta l’imbarazzo dell’incontro col suo mito, De André. “Dopo esserci detti ‘ciao’ siamo stati per un’ora quasi in silenzio. D’altronde, con i nostri caratteri… . Poi tra una sigaretta e un whisky si è sciolto un po’ il ghiaccio. E alla fine, passate ore, lui mi ha regalato la sua chitarra e io la mia maglia”.

“Quando con la squadra salivamo sul pullman io avevo conquistato il privilegio di sedermi accanto all’autista. E insieme la gestione dei nastri musicali. Mettevo sempre Bocca di rosa e La canzone di Marinella. Anche se la mia preferita era Preghiera in gennaio. I miei compagni mi tiravano di tutto, ma non mollavo. De André mi ha insegnato tanto, che se dicessi non saprei esattamente neanche che cosa. Forse ho ammirato il suo comportamento”.

Ancora calcio. Dice che il difensore che ha sofferto di più è stato “Burgnich. Era fatto di filo e di ferro. Era di legno e di acciaio. Aveva un fisico spaventoso. E io non mi tiravo mai indietro. Eravamo simili. Mi metteva giù e diceva che non voleva, con l’espressione del viso un po’ falsa. Faceva parte del gioco: voleva eccome”.

Poi Riva svela un inedito incontro con Grazianeddu Mesina, il bandito sardo. “Un giorno, a Cagliari, me lo sono trovato in auto”. Voleva che non andasse via, che restasse in Sardegna. “Ma io ho sempre deciso da solo. Figuriamoci se poi me lo diceva Mesina…”.

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