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La nuova era del Napoli: un quarto d’ora per chiudere le partite

A Bergamo un saggio di forza della squadra che sa come innescare Osimhen e sbriga la pratica. Spalletti ha reso il Napoli consapevole

La nuova era del Napoli: un quarto d’ora per chiudere le partite
Db Bergamo 05/11/2022 - campionato di calcio serie A / Atalanta-Napoli / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: gol Victor Osimhen

Una nuova era

Atalanta-Napoli 1-2 è una partita che appartiene a una nuova era, per la squadra di Spalletti. La transizione è oramai completata: gli azzurri sono diventati così forti rispetto al contesto della Serie A, ed è un discorso di individualità che vengono sommate tra loro nell’ambito di un sistema tattico liquido eppure coerente, che possono vincere le partite senza vincere il duello tattico. Imponendosi sugli avversari grazie a pochi minuti – ma ben assestati – di grande intensità. La sensazione, guardando e riguardando la gara di Bergamo, è che l’Atalanta dovesse spingere fortissimo per poter mettere in difficoltà il Napoli. Di converso, alla squadra di Spalletti è bastato fare pochissimo – aspettare il momento di stanca degli avversari, e poi attivarsi – per segnare due gol. Per vincere la partita.

Dal punto di vista statistico, tutto questo si sublima nel dato dei tiri: l’Atalanta ha tentato la conclusione per 17 volte, e solo in 4 occasioni ha centrato lo specchio della porta; il Napoli, invece, ha tirato solamente 7 volte verso la porta di Musso, e in 5 occasioni ha centrato lo specchio. Se vogliamo aggiungere la traversa a porta vuota di Lookman, dobbiamo fare la stessa cosa anche con il rigore in movimento fallito da Simeone a un quarto d’ora dalla fine. Insomma, la proporzione non cambia. E non mente.

Anche alcuni modelli di rilevazione più avanzati, come quello dei gol attesi, confermano quanto detto finora: secondo i dati di understat.com, l’Atalanta ha accumulato 2.79 xg contro gli 1.76 del Napoli. Peccato che il rigore di Lookman, da solo, valga un coefficiente di 0.76. E allora torna buona la nostra definizione iniziale: l’Atalanta ha avuto bisogno di tanto gioco per fare volume, per fare occasioni da gol. Al Napoli, invece, è bastato poco. Visto che ha dei grandi giocatori e sa come sfruttarli.

L’inizio a tutta dell’Atalanta

Dal punto di vista tattico, la partita è iniziata seguendo il copione canonico. Ovvero: l’Atalanta ad aggredire e il Napoli a subire l’onda d’urto della squadra di Gasperini. Che, rispetto al passato, ha però ridotto un po’ la tendenza a esasperare l’uno contro uno a tutto campo: alcune marcature restano, ma i quinti di centrocampo restano tendenzialmente più bassi, a dar manforte al braccetto della difesa a tre. Questo non fa rinculare più di tanto i bergamaschi, ma contro il Napoli ha determinato una situazione per cui Di Lorenzo e Olivera sono stati i giocatori che hanno toccato più palloni: 96 e 105, rispettivamente.

In entrambi gli screen, si vedono chiaramente i due terzini del Napoli non marcati a uomo dai quinti di centrocampo dell’Atalanta

Sugli altri giocatori, la pressione è stata piuttosto feroce. E allora il Napoli non è riuscito a costruire dal basso, a muovere il pallone in modo da manipolare la struttura difensiva di Gasperini. Uno dei tentativi di Spalletti per cambiare un po’ l’inerzia della gara ha riguardato Lozano e Anguissa, che spesso si sono scambiati la posizione per mandare in tilt il sistema di marcature di Gasperini. Ma non ha funzionato granché, e in questo senso i numeri sono eloquenti: nei primi 20′, a fronte di un possesso palla molto favorevole al Napoli (66%-34%), l’Atalanta ha tentato per ben 7 volte la conclusione verso la porta di Meret. Un dato ancora più significativo è quello dei palloni toccati in area da tutti i giocatori di Spalletti, sempre nei primi 20 minuti: uno, per di più sulla linea che delimita i 16 metri.

Tutti i palloni giocati da tutti i giocatori del Napoli fino al 20esimo minuto. Inutile aggiungere che la squadra di Spalletti, in questa rappresentazione grafica, attacca da destra verso sinistra.

L’Atalanta, in fondo, non ha avuto bisogno di tenere tanto il pallone per mettere in difficoltà il Napoli: la maggior parte delle azioni pericolose costruite dai bergamaschi nella prima metà del primo tempo sono nate da lanci a scavalcare la difesa di Spalletti, che provava a rimanere alta. La ricezione di questi passaggi era affidata soprattutto a Hojlund, mentre Lookman – davvero bravissimo – era l’uomo deputato ad agire come una seconda punta classica, ovvero a ricevere il pallone tra le linee. Oppure sulla sinistra, come si vede da questo campetto grafico:

Tutti i palloni giocati da Lookman.

Il ritorno del Napoli

La carica per il ritorno del Napoli l’ha suonata Stanislav Lobotka. Con una sua giocata proverbiale che però finisce per essere dimenticata in mezzo a tutte le azioni lavorati che caratterizzano il suo calcio: la progressione palla al piede per rompere le linee avversarie. È una delle caratteristiche migliori, più importanti, di questo Napoli: anche i calciatori che sembrano più specializzati e quindi monodimensionali, cioè monocordi nel proprio gioco, sono invece in grado di fare cose molto diverse. Per esempio, Lobotka prende palla, elude la pressione del suo marcatore diretto (Pasalic) e del compagno a sostegno (Hojlund) e si infila in uno spazio che sembra minuscolo, e forse lo è. In questo modo, si determina un calcio d’angolo. Proprio il calcio d’angolo da cui scaturirà il gol di Osimhen.

Sembra un’azione insulsa, ma la partita è svoltata in questo istante

Ecco, questo è esattamente ciò che dicevamo prima: il Napoli, in effetti, va in gol alla prima occasione buona. E non solo: il colpo di testa di Osimhen è addirittura il primo tiro in assoluto tentato dalla squadra di Spalletti. Ma è vero anche che il Napoli, fino a quel momento, non aveva ancora giocato. Per merito dei calciatori dell’Atalanta, del loro inizio a mille. Forse anche perché l’assenza di Kvaratskhelia e la sua sostituzione con Elmas, un calciatore dalle caratteristiche completamente diverse, aveva tolto molti riferimenti al sistema di Spalletti. Il nocciolo della questione, però, è che sono bastate poche mosse e pochissime giocate perché il Napoli si accendesse. È bastato un cross fatto bene perché Osimhen facesse valere il suo strapotere in area di rigore.

Il compito di un allenatore di calcio, in fondo, è proprio questo: ideare un sistema perché i migliori componenti della sua squadra possano esaltarsi ed esprimere le loro doti. Ora è chiaro che un calcio d’angolo come quello che ha portato al cross di Zielinski e al colpo di testa di Osimhen è una situazione di gioco piuttosto elementare. Per dirla brutalmente: non ci vuole un master a Coverciano per capire che mettere dei palloni alti in uno spazio in cui c’è Osimhen può essere una buona soluzione. Il punto è che il Napoli e Spalletti vanno decisamente oltre queste cose evidentemente semplici. Per capire cosa intendiamo, basta riguardare il gol di Elmas. Fin dal principio dell’azione.

Sembra tutto molto semplice, ma ovviamente non è così

Ecco, questo è il Napoli di Spalletti. Una squadra sofisticata, moderna, che ha molta qualità e molte conoscenze. E che, in virtù di questo e del lavoro del suo allenatore, ormai è in grado di capire quali sono le cose migliori da fare in ogni momento della gara. In ogni azione, o quasi. In questo caso, per esempio, l’Atalanta approfitta di una situazione statica per alzarsi molto sul terreno di gioco. Al momento della rimessa dal fondo di Meret, infatti, ci sono addirittura cinque calciatori in maglia nerazzurra nella metà campo avversaria. Questo, però, non spaventa il Napoli. Piuttosto lo induce a cambiare strategia: dopo il primo tocco rasoterra, Di Lorenzo vede che Anguissa può essere raggiunto con un passaggio alto, e allora serve proprio quel tipo di passaggio.

Non è una scelta scontata. Nel senso: Anguissa può essere raggiunto con un passaggio alto perché è nella posizione giusta, ovviamente, ma anche perché ha il fisico e l’elasticità muscolare che occorrono per addomesticarlo, quel passaggio alto. Con Gargano, Hamsik o Jorginho in quella posizione, fare quel tipo di passaggio sarebbe stato molto meno efficace. Di Lorenzo, invece, ha l’intelligenza che occorre per leggere questa situazione e la qualità che serve per poter dosare bene il lancio. Anguissa va al duello aereo, lo vince, e a quel punto il treno Osimhen è già partito.

Il treno Osimhem

È questo il punto: con Osimhen che parte e fila come un treno, il passaggio di Di Lorenzo e il duello aereo vinto da Anguissa hanno un senso. Con un centravanti del genere, il gioco verticale è un’arma letale. Così come la costruzione dal basso, che però non serve più – come ai tempi in cui c’erano Sarri, Reina, Albiol, Koulibaly, Jorginho, Hamsik, Insigne, Mertens e come pretendeva di fare Gattuso con giocatori diversi – per risalire armonicamente il campo portando molti uomini in avanti, piuttosto per aprire spazi da attaccare. Da aggredire in modo diretto. Perché, appunto, il Napoli ha Victor Osimhen.

Che, in questa azione, è francamente ingestibile. Non lo è sempre, e infatti Demiral è stato bravissimo per ampi tratti della partita. Il difensore turco dell’Atalanta stato bravissimo ad anticiparlo, a non farlo girare, a non farsi divorare dal nigeriano dal punto di vista fisico. Solo che un calciatore del genere non puoi contenerlo per tutti i 90 minuti: prima o poi ti scapperà. Esattamente com’era successo a Roma con Smalling. Due settimane fa l’azione è finita con un tiro accecante, a Bergamo c’è stato un assist che Elmas è stato abile – e fortunato – a capitalizzare.

Tutti i tocchi di Osimhen: tra un attimo ne parliamo

Grazie a Osimhen, alle sue doti fuori scala, il Napoli ha segnato due gol in dieci minuti. Grazie al centravanti nigeriano, ma anche a Kvara e a tutti gli alfieri del nuovo corso, Spalletti ha potuto avviare e sta completando la transizione verso una nuova identità. Lo si vede nel campetto appena sopra, ovvero la mappa di tutti i palloni giocati da Osimhen: sono pochi, 30 in 75 minuti di gioco. Ma sono evidentemente sparsi in tutte quelle zone che serve battere affinché il campo del Napoli possa allungarsi e allargarsi. A testimonianza di questo, ecco un altro numero significativo: 6 di questi palloni, Osimhen li ha toccati nell’area avversaria. Più di qualsiasi altro giocatore del Napoli. Solo un tocco in meno rispetto a Lookman, che però è rimasto in campo fino al minuto 86′ e ha giocato 44 palloni complessivi.

Elmas, Mathias Olivera, Ndombélé

Dalla mezz’ora in poi, una volta risistemato il risultato, il Napoli ha giocato una partita diversa. Ha inserito la modalità gestione, rintanandosi un po’ nella sua metà campo (baricentro posto a 39,97 metri in fase di non possesso) e lasciando che l’Atalanta tenesse di più il pallone, però con meno spazi (dal gol di Elmas fino al fischio finale, la percentuale grezza di possesso della squadra di Gasperini è stata pari al 53%). In un contesto tattico del genere, Elmas è stato utilissimo. Ed è stato lo stesso Spalletti a dichiararlo nel postpartita; «Eljif ci ha dato quantità e qualità».

Oltre le parole di Spalletti e le evidenze tattiche che intuite dal frame e dal campetto che vedete sotto, ci sono i dati e le evidenze tattiche: l’esterno macedone ha recuperato 2 palloni di cui uno con un contrasto vinto, ha intercettato 2 passaggi avversari ed è stato quasi sempre in linea con i centrocampisti in fase di non possesso. Insomma, ha giocato una partita di sacrificio dal lato di Hateboer e soprattutto di Koopmeiners, calciatore di grande qualità che è risultato non pervenuto.

In alto, vediamo Elmas (cerchio giallo) che prende il posto di Zielinski (cerchio rosso) durante una pressione piuttosto aggressiva da parte del Napoli. Sopra, invece, la mappa delle posizioni medie dei giocatori azzurri.

Da quella parte, a sinistra, ha giocato una grande partita difensiva anche Mathias Olivera. Anche il suo inserimento al posto di Mário Rui è un’evidenza che i tempi e le cose stanno cambiando. Anzi, sono già cambiati. Non è solo una questione relativa ai 2 contrasti vinti, ai 5 palloni spazzati e ai 2 tiri avversari respinti, quanto di fisicità mista a buona qualità palla al piede. In gare contro avversari atleticamente così strutturati, il terzino ex Getafe funziona meglio di Mário Rui: è più prestante e quindi più difficile da superare in fase difensiva, ma allo stesso tempo ha il dinamismo che serve per appoggiare sempre l’azione offensiva, con sovrapposizioni interne ed esterne.

Dato che l’Atalanta è una squadra di qualità e ben allenata, a un certo punto della ripresa la sua pressione si è fatta molto forte. E il Napoli stava per cedere: un errore di Di Lorenzo ha innescato l’azione solitaria di Maehle conclusa con la parata di Meret e con il tap-in di Lookman respinto dalla traversa – e dal naso di Olivera. Pochi minuti dopo, però, Spalletti ha ultimato il suo capolavoro: dentro Ndombélé, fuori Zielinski.

Con il francese a centrocampo ad alternarsi con Anguissa nel pressing e nella pulizia del pallone, il Napoli ha smesso di soffrire l’esuberanza atletica dell’Atalanta. Che, senza calciatori come Gómez e Ilicic, fa storicamente più fatica a trovare connessioni interne-esterne di qualità, e allora è costretta a fare un altro tipo di gioco. Non a caso, viene da dire, Gasperini ha inserito Malinovskyi – un giocatore eccezionale a muoversi e a ricevere tra le linee – per vivacizzare il suo attacco, ma non è bastato. Tra il minuto 65 e il fischio finale, l’Atalanta ha messo insieme solamente 4 tentativi di tiro. Tutti da fuori area. Solo uno è finito nello specchio della porta di Meret. Anzi: è stato il Napoli a sfiorare il gol, con Simeone su assist di Olivera.

Conclusioni

Quella colta dal Napoli a Bergamo è una vittoria da grande squadra contro una buonissima avversaria. La differenza di censo e di casta ha fatto sì, come detto, che l’Atalanta dovesse spingere l’acceleratore a tavoletta per poter essere pericolosa, e per poter assorbire l’impatto tecnico ma anche fisico e d’intensità dei giocatori azzurri – quando questi hanno alzato ritmi e intensità del loro gioco, ovviamente. Il sistema e le idee di Gasperini non sono bastate ad avere la meglio contro la qualità e l’intelligenza adattiva, coltivata col lavoro tattico in allenamento, degli uomini di Spalletti. A volte capita, può succedere. Stavolta no.

Merito di un Napoli sempre più sicuro, sempre più consapevole e pure in grado di cambiare uomini e faccia con tranquillità. Senza scomporsi. Senza smarrire la propria identità. Dal punto di vista tattico, come anticipato in apertura, Atalanta-Napoli 1-2 è una partita che appartiene a una nuova era, per la squadra di Spalletti. Ma forse si può andare anche oltre, si può dire che la gara di Bergamo abbia aperto uno squarcio di ulteriore futuro in questa nuova era già abbastanza futurista. Perché, come ha sottolineato l’allenatore nel postpartita, il successo e questa prestazione così matura sono arrivati in assenza di Kvicha Kvaratskhelia. Cioè del giocatore che più aveva caratterizzato l’inizio di stagione del Napoli. La squadra azzurra, molto semplicemente, ha dimostrato di avere altre risorse di qualità. Di esserne cosciente. E di volerle e saperle maneggiare, soprattutto: è questo che fa la differenza con il passato.

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