Lo Spalletti ritrovato, chiede ai media una narrazione meno obsoleta
Ha chiuso la parentesi del lamento, è tornato riformista con parole interessanti sul modo di raccontare il calcio dei “professionisti dei dubbi”

As Roma 03/09/2022 - campionato di calcio serie A / Lazio-Napoli / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: Luciano Spalletti
Sembra un’era geologica fa, eppure eravamo appena al 2 settembre quando Luciano Spalletti in conferenza stampa disse: “volete che vi faccia lo schemino di chi è arrivato e chi è andato via?”. Eravamo alla vigilia di Lazio-Napoli. In tribuna stampa all’Olimpico tanti giornalisti napoletani commentarono: «Ha detto solo la verità. A te non piace sentirla ma è la verità». No, al Napolista non piacquero quelle parole. Spiacevoli e soprattutto lontane dal vero, come poi il mese di settembre ha avuto modo di dimostrare in lungo e in largo (resistiamo con molta difficoltà a ripetere come se la passano calcisticamente i calciatori andati via che avrebbero lasciato vuoti incolmabili, da Mertens a Insigne, da Koulibaly a Fabian). Parole persino sorprendenti per il padre del “lamentarsi è da sfigati”. Diciamo anche da rinnegato.
Trenta giorni dopo abbiamo ritrovato in conferenza Luciano Spalletti come lo ricordavamo. Ovviamente le vittorie aiutano, dettaglio che non ci sfugge. Ma le vittorie non sono casuali. Sono figlie del lavoro. Lavoro in campo, che Spalletti porta avanti quotidianamente con il suo staff e naturalmente i calciatori. E che ieri si è visto in maniera evidente nel primo tempo contro il Torino: i primi due gol portano la mano del tecnico; il secondo poi grazie alla da noi detestata costruzione dal basso (a proposito: sarà calcio moderno, ma prendere un gol così con difesa scoperta per cinquanta metri non ci sembra proprio un manifesto della qualità). Il Napoli ha giocato 30-35 minuti a livelli altissimi, coniugando sapienza tattica a notevole tecnica individuale.
Oltre al lavoro del campo c’è quello di intelligence calcistica con cui il Napoli ha sbaragliato la concorrenza del premio “come si gestisce un’impresa calcistica”, arrivando a far esprimere pubblicamente a Walter Sabatini la propria invidia per un colpo come quello di Kvaratskhelia.
Ma torniamo a Spalletti. Abbiamo riascoltato la sua conferenza post-partita e ha formulato espressioni che ci sono piaciute tanto. Soprattutto quando ha parlato dei “professionisti dei dubbi”. Due passaggi in cui a nostro avviso Spalletti ha provato a inviare messaggi ai giornalisti, all’ambiente. Ha provato a dire: “anche voi siete importanti”. Almeno noi così l’abbiamo interpretata. E lo ha fatto toccando due temi classici: il turn-over (anche se in realtà la domanda era su altro) e la stanchezza dei calciatori impegnati nelle Nazionali.
«Bisogna abituarsi, a noi rimangono cinque calciatori quando vanno in Nazionale. L’importante è che non si facciano male. Però se gli si continua a dire nella testa, gli si rimbomba, che quando tornano sono stanchi e devono giocare altri, sta’ tranquillo che sono stanchi. Se il Bayern Monaco gioca contro il Bayer Leverkusen di venerdì senza aver mai fatto allenare i calciatori e vince 4-0, è segno che nella testa c’hanno qualcosa di differente. Cerchiamo di creargli questo qualche cosa di differente se si vuole vantaggi sennò poi siamo sempre a cercare, a creare, siamo professionisti dei dubbi».
L’altro passaggio è sul turn-over. La domanda in realtà era sui movimenti di Raspadori ma il tecnico diciamo ne ha approfittato per ribadire la propria idea sulla scomparsa dei titolari, sul calcio che è cambiato con le cinque sostituzioni. È arrivato a dire: «L’avrei vinta lo stesso anche con Simeone. Prima – riferito alla sua carriera di allenatore – non ci dormivo la notte per scegliere i titolari. Adesso vado a letto camomillato perché sono tranquillo, gioca l’uno o gioca l’altro (ha citato Politano e Lozano, ma ci è parso un discorso generale, ndr) mi sento tranquillo». Che è l’esatto opposto della frase di un mese fa. È uno Spalletti ritrovato, finalmente di nuovo riformista.
La si può mettere come si preferisce: la squadra ha dato a Spalletti le risposte che si aspettava, o il tecnico si è reso conto (anche pubblicamente) di avere a disposizione una rosa forte, ampia e profonda. Al punto da dormire camomillato. Ovviamente questo non vuol dire garanzia di vittoria. Solo chi non ha mai giocato nemmeno a briscola può pensare che la vittoria debba essere garantita. Non vorremmo ritrovarci a fine stagione terzi e con la contestazione di coloro i quali un mese fa inneggiavano alla Napoli-Bari per cacciare De Laurentiis.
Adesso, ma già da Milano, è cominciata un’altra stagione per il Napoli. La squadra non è più un’outsider. Se ne sono resi conto tutti. Gli avversari e anche gli osservatori-opinionisti, quelli he avevano definito il Napoli alla deriva per aver rotto con un bel po’ di over trenta. Con le parole di ieri Spalletti ci è parso chiedere anche una collaborazione ai media nel provare a contribuire a creare un clima diverso, nel parlare di calcio secondo schemi più contemporanei e non rifugiarsi nei classici copioni. Per certi versi quel che sta avvenendo anche in città dove ci sembra sia stato riscoperto un modo meno morboso (non meno tifoso) di seguire il Napoli. L’arrivo di calciatori nuovi e provenienti da mondi lontani, a nostro avviso ha aiutato. Il Napoli è oggi più una squadra di calcio che una rappresentativa che simboleggia la città. Ci sembra un passaggio molto importante.
Siamo appena gli inizi. È presto, molto presto. La differenza la farà la capacità di reagire diversamente alle situazioni complicate. Innanzitutto nel Napoli. Per ora è stato superato il primo step, il più semplice: dimostrare che le contestazioni e le lamentele erano esclusivamente figlie dell’incompetenza e della malafede. Gli altri passaggi saranno più complicati. E richiederanno – da parte di tutti, in primis dei tesserati – sforzi importanti per non rifugiarsi nei soliti meccanismi.