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Raspadori e Osimhen: lontano dall’area, lontano dal gioco

Uno ha giocato troppo dietro (un solo pallone toccato in area) e l’altro mai coinvolto. Fa bene Spalletti a sperimentare ma sono mancate velocità e verticalità

Raspadori e Osimhen: lontano dall’area, lontano dal gioco
Mp Firenze 28/08/2022 - campionato di calcio serie A / Fiorentina-Napoli / foto Matteo Papini/Image Sport nella foto: Victor Osimhen-Giacomo Raspadori

Il paradosso del turn over

L’analisi tattica di Napoli-Lecce 1-1 parte inevitabilmente dalle scelte di Spalletti. Da un turn over importante, impattante, che ha modificato la formazione iniziale per sei undicesimi e ha determinato anche un cambio di sistema di gioco. È impossibile non pensare che il Napoli brillante visto nelle prime due partite, così come quello equilibrato visto a Firenze, avrebbe potuto battere facilmente il Lecce, se solo Spalletti l’avesse schierato dal primo minuto. Gli assenti, in fondo, hanno sempre ragione. Il paradosso è che la squadra azzurra ha segnato l’unica rete della sua partita con la formazione di riserva, quando in campo c’erano Ostigard, Mathias Oliveira, Ndombélé, Politano, Elmas e Raspadori. Mentre il Napoli della ripresa, quello con Lobotka, Zielinski, Kvaratskhelia e Lozano non è riuscito a fare gol. Anzi, è riuscito a mettere solamente 4 conclusioni nello specchio della porta di Falcone.

Finora, è evidente, abbiamo banalizzato tanti concetti. E non abbiamo assolutamente considerato l’ottima prestazione del Lecce. Che nel secondo tempo ha giocato una partita di pura sofferenza difensiva, chiaro, ma nella prima frazione ha letto e sfruttato benissimo i problemi di distanze del Napoli, ha meritato di andare al riposo sul risultato di 1-1 e solo dopo, anche per via della stanchezza, ha attivato la modalità trincea. Ma quali sono stati i problemi di distanze del Napoli? Cosa non ha funzionato nel primo tempo e poi anche nella ripresa? Su cosa deve lavorare Spalletti per evitare di perdere altri punti in casa contro squadre più deboli, almeno sulla carta?

Il 4-2-3-1, ovvero l’inversione del triangolo

Spalletti ha varato una formazione inedita eppure facilmente leggibile: 4-2-3-1 puro che si trasformava in 4-4-2 in fase difensiva; doble pivote composto da Ndombélé e Anguissa; Raspadori sottopunta alle spalle di Osimhen; sugli esterni, due coppie – teoricamente – più conservative, ovvero Di Lorenzo-Politano e Olivera-Elmas. Dal punto di vista dei principi di gioco, il Napoli ha alternato la ricerca dell’ampiezza e quindi degli esterni offensivi – partendo soprattutto da Ostigard e Kim, a fine partita autori di 16 lanci lunghi in due – con i tentativi di trovare Raspadori tra le linee. L’inversione del triangolo di centrocampo è stata evidente fin dai primissimi minuti:

Il Napoli col triangolo rovesciato: doble pivote e Raspadori sottopunta

Come si vede chiaramente dal campetto sotto in cui ci sono tutti i palloni giocati da Raspadori, l’ex attaccante del Sassuolo è stato costretto ad arretrare molto per riuscire a toccare, a giocare il pallone. Anzi, diciamolo: è stato costretto ad arretrare troppo. In questo modo, il Napoli ha praticamente perso le sue migliori caratteristiche: Raspadori è infatti un puro stoccatore offensivo, è una punta che ha anche la qualità per poter orchestrare la manovra offensiva, ma resta fondamentalmente una punta. Il fatto che abbia toccato un solo pallone in area di rigore in tutto il primo tempo è piuttosto significativo. E anche grave.

Ecco la mappa di tutti i tocchi di Raspadori

Probabilmente l’idea di Spalletti era quella di sfruttare Raspadori come ricevitore del pallone tra la difesa e il centrocampo del Lecce. Questa tipo di manovra si è vista poche volte nel corso della partita. Per colpa del Napoli, a cui è mancata la qualità per imbucare i palloni giusti e trovare il suo sottopunta nelle condizioni migliori per riceverli, così da velocizzare il gioco. Per merito del Lecce, che nel primo tempo ha tolto profondità agli azzurri tenendo un baricentro alto – più alto rispetto a quello del Napoli: 52,29 metri contro 48,68 – e chiudendo ogni spazio centrale in maniera puntuale.

Le potenzialità di questo sistema di gioco alternativo si sono manifestate e quindi si sono viste in occasione del gol di Elmas. Su una rimessa laterale, è stato proprio Raspadori a tirare fuori un uomo dal blocco difensivo del Lecce e a imbucare un buon pallone verso Elmas, che aveva occupato il mezzo spazio di centro-sinistra; il tocco di tacco del macedone ha aperto un buonissimo corridoio a Olivera sulla fascia, così i giocatori di Baroni sono stati costretti a scalare velocemente e si è determinata una situazione di due contro due in area di rigore. I rimpalli, la sponda intelligente di Osimhen e il tiro strozzato di Politano hanno rimesso proprio Elmas, ancora Elmas, in condizione di battere facilmente a rete.

Un bel gol, tutt’altro che casuale

L’assenza che ha pesato

In questa azione, ciò che fa la differenza è la velocità della giocata verticale. La sua qualità. Dopotutto trovare gli uomini tra le linee è il modo migliore per manipolare e scompigliare un sistema difensivo, indifferentemente dal fatto che sia schierato con baricentro alto o basso, che sia orientato sull’uomo o sul pallone. Al Napoli è mancata proprio questa rapidità e questa precisione nella trasmissione. Ecco, forse è questo l’aspetto su cui ha pesato il turn over di Spalletti: lungo tutto il primo tempo, Tanguy Ndombélé ha servito solamente 38 passaggi; di questi, appena 6 erano diretti in avanti e nel terzo di campo offensivo del Napoli. I numeri di Anguissa sono praticamente identici: 39 appoggi complessivi, e solo 6 diretti in avanti e oltre la trequarti campo del Lecce.

È evidente che a Spalletti siano mancate idee, creatività e precisione nella seconda costruzione dell’azione, dopo il primo appoggio dei difensori. Sia Anguissa che Ndombélé sono giocatori che hanno la qualità per partecipare a un possesso organizzato e sofisticato, ma quando devono far progredire la manovra preferiscono farlo conducendo la palla, non smistandola in verticale. La loro verticalità, soprattutto quella di Ndombélé, si manifesta con il corpo e con la sfera attaccata al piede. La loro capacità di creare superiorità numerica, non posizionale, dipende dai loro strappi, non dai loro passaggi. Insomma, per dirla tutta: forse il vero azzardo di Spalletti è stato quello di togliere Lobotka dal Napoli. Anche, se non soprattutto, dal Napoli schierato con il 4-2-3-1, ovvero una squadra non rodata – lo ha ammesso lo stesso tecnico toscano nel postpartita – e che ha ancora più bisogno di una spiccata verticalità nella costruzione del gioco.

Il Lecce tiene il blocco centrale a copertura degli spazi e attacca il possesso di Kim-Min-jae senza forzare troppo; la stessa cosa è avvenuta quando il possesso era di Ostigard

Il peso dell’assenza di Lobotka si percepisce anche dai numeri relativi alle prestazioni di Ostigard e Kim Min-Jae: nel primo tempo i due difensori centrali del Napoli hanno messo insieme, rispettivamente, 59 e 57 passaggi. Come detto in precedenza, si è trattata anche di una scelta deliberata: Spalletti ha chiesto ai suoi centrali di impostare il gioco con dei lanci lunghi ad aprire il campo. Il punto, però, è che il Lecce ha finito per esasperare e quindi sfruttare questa dinamica tattica: come si vede chiaramente dal frame in alto, la pressione della squadra di Baroni su Ostigard e Kim Min-Jae era tutt’altro che asfissiante. Anzi, in realtà i giocatori giallorossi gli davano una certa libertà. Una decisione saggia, visto che non hanno ciò che sarebbe servito al Napoli: la capacità di imbucare molti palloni tra le linee così da spezzare le linee di pressing e di presidio.

Bravura e fortuna del Lecce

Come detto in apertura, il Lecce visto nel primo tempo non si è limitato a giocare una partita di contenimento. Anzi, i dati dicono che la squadra di Baroni, considerando sempre e solo la prima frazione di gioco, ha tirato più volte verso la porta di Meret (8) rispetto a quanto abbiano fatto i giocatori del Napoli verso la porta di Falcone (7).

Come e dove nasce questa maggior produzione offensiva? Dal fatto che il 4-3-3 puro disegnato sul campo da Baroni permettesse al Lecce di andare ad attaccare gli spazi che il Napoli non riusciva a coprire: quelli ai lati del doble pivote composto da Anguissa e Ndombélé. Soprattutto Banda, sulla sinistra, si è rivelato una spina nel fianco per gli uomini di Spalletti: non a caso, viene da dire, il Lecce ha costruito addirittura il 46% delle sue azioni da quella parte. Un altro dato significativo: lo zambiano ha messo insieme il più alto numero di dribbling tra i giocatori in campo ieri sera al Maradona: 4.

Bamda sta per ricevere un passaggio direttamente dalla difesa; Politano sta coprendo su Pezzella, Anguissa sulla mezzala, così l’esterno del Lecce ha lo spazio per puntare subito Di Lorenzo

Come si vede chiaramente da questo frame, Banda – esattamente come il suo omologo Di Francesco dall’altro lato – aveva sempre un ampio spazio in cui ricevere il pallone. E quindi anche il tempo per pensare la giocata. Il fatto che il Napoli schierasse due punte, che si difendesse quindi con un 4-4-2 o al massimo con un 4-4-1-1, determinava un’inevitabile buco negli spazi di mezzo e/o sulle fasce laterali. È lì che il Lecce ha costruito le sue occasioni, i suoi tiri in porta. È lì che la squadra giallorossa si è conquistato il rigore poi fallito da Colombo.

Quasi come per voler affermare la veridicità storica della frase fatta per cui la fortuna aiuta gli audaci, la squadra di Baroni è pervenuta al pareggio in modo del tutto casuale: il bellissimo tiro di Colombo dalla media distanza è un evento praticamente irripetibile. Ma non immeritato, in virtù di tutto quello che abbiamo detto finora. In fondo anche lo stesso Spalletti, nelle interviste del postpartita, ha parlato chiaramente di «un brutto primo tempo».

Il ritorno al passato e i problemi di Osimhen

Ciò che è accaduto nell’intervallo e nella ripresa è molto più semplice da decodificare. E da spiegare: il Napoli si è ripresentato in campo con il 4-3-3 e con Lobotka nel ruolo di unico pivote davanti alla difesa; come mezzala, Zielinski ha preso il posto di Ndombélé. L’ idea, evidentemente, era quella di far partire e di rifinire il gioco secondo le direttrici tradizionali della squadra di Spalletti. Zielinski, come d’abitudine ormai consolidata, ha fatto da cuneo tra 4-3-3 e 4-2-3-1, agendo qualche metro davanti a Lobotka e Anguissa; fino all’ingresso di Kvaratskhelia il polacco è andato a sovrapporsi spesso dalle parti di Elmas, per sostenerne l’azione offensiva, ma alla fine il suo contributo creativo è stato modesto: 3 conclusioni, tutte da fuori area, e un solo passaggio chiave.

Dida

Non c’è bisogno di aggiungere molto altro, quantomeno a livello di immagini: questi campetti che illustrano le posizioni medie e il baricentro delle due squadre nel secondo tempo parlano da sé. Il Napoli ha provato a forzare la situazione in maniera progressiva, cioè inserendo prima Kvaratskhelia, poco lucido per non dire testardo a ogni percussione, poi Lozano e infine la seconda punta pura, Gio Simeone. Tra questi, solo il messicano è sembrato davvero in palla: gli sono bastati 20 minuti in campo per mettere a segno 4 dribbling, esattamente come Banda, e per creare le uniche azioni davvero pericolose costruite dal Napoli in tutta la ripresa.

Come ha detto Spalletti, e come si evince anche dai dati e dai grafici, il Napoli ha effettivamente giocato meglio nella ripresa, solo che il Lecce ha finito per chiudersi a testuggine nella sua metà campo, rifiutando qualsiasi velleità di costruzione del gioco. Addirittura Colombo si è sacrificato a marcare Lobotka praticamente a uomo. Così tutte le occasioni costruite dal Napoli sono state frutto di cross dagli esterni – totale di 20 solo considerando il secondo tempo – su cui raramente Osimhen e i suoi compagni hanno avuto la meglio. Alla fine, come detto in apertura, la squadra azzurra ha messo insieme appena 4 conclusioni nello specchio della porta difesa da Falcone.

Il problema Osimhen

L’abbiamo citato, è arrivato il momento di parlare di Victor Osimhen. Che, in quanto centravanti del Napoli e per le qualità che ha, deve dare sicuramente di più. Ma merita anche un contesto tattico che sia in grado di assecondare le doti. Che sappia trovarlo, anzi lanciarlo, al netto del fatto che i difensori di turno siano schierati alti, bassi, che pratichino marcature a uomo o gli concedano maggiore profondità. Dopo Milenkovic, anche Baschirotto – non proprio la stessa cosa, almeno a livello di censo – ha giocato una partita gagliarda in marcatura sull’attaccante nigeriano, che però non è stato mai sfruttato per quello che sono le sue doti. In realtà il gol di Elmas si determina da una sua sponda semplice ma anche intelligente verso Politano, e allora diventa chiaro che l’abulia delle ultime due partite sia un problema anche di tattica collettiva, non solo di rendimento e condizione individuale.

Ancora una volta, infatti, il numero nove del Napoli ha vissuto una partita ai margini della sua squadra, ed è un discorso geografico ma anche tecnico: 22 palloni giocati in tutto, un solo duello aereo vinto e la sensazione che ogni palla lanciata verso di lui fosse destinata a essere persa per mancanza di supporto. È lampante che Victor stia attraversando un periodo negativo di forma e/o di concentrazione, ma è anche evidente come questo nuovo Napoli non abbia ancora trovato il modo per servirlo bene. Per esaltarlo.

Conclusioni

Quando il Napoli riesce a velocizzare le azioni, a trovarsi in condizione di parità o superiorità numerica con le difese avversarie, diventa una squadra difficile da contenere. È qui, in questo punto e su questo punto, che deve lavorare Spalletti. In realtà il cambio di modulo e di uomini visto ieri sera contro il Lecce era proprio un tentativo per dare un volto nuovo, diverso, alla manovra offensiva della sua squadra. Non ha funzionato, ma è importante continuare con questi esperimenti.

Anzi, è fondamentale e necessario: solo attraverso il lavoro tattico si possono compensare le giornate negative dei grandi giocatori, ed è sempre e solo attraverso il lavoro tattico che si valorizzano le doti dei singoli, oppure si ideano e si attuano nuove strategie che permettono ai calciatori di evolversi, di migliorare. Osimhen e quindi il Napoli hanno bisogno di questo, di continuare a studiare e a studiarsi, un’operazione che passa inevitabilmente dal turn over e dai tentativi di cambiare le cose. Esagerare è un rischio inevitabile, in certi casi. Napoli-Lecce 1-1, in questo senso, può diventare una lezione utile per il futuro.

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