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Batistuta: «L’Italia aveva una sua identità: difesa e contropiede. Ora non la riconosco più»

Alla Gazzetta. «Il Napoli gioca un gran calcio. Per far funzionare un club non bastano i risultati, la Fiorentina ha bisogno di una figura carismatica come Maldini al Milan: io sono pronto»

Batistuta: «L’Italia aveva una sua identità: difesa e contropiede. Ora non la riconosco più»
Mg Firenze 02/03/2022 - Coppa Italia / Fiorentina-Juventus / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Gabriel Batistuta

Gabriel Omar Batistuta intervistato dall’edizione odierna della Gazzetta dello Sport. Alcune delle risposte.

Su Zdenek Zeman.

«Mi è sempre piaciuto per la sua coerenza e per il suo modo di intendere il calcio. Uno che non ha mai fatto sconti a nessuno e che è sempre rimasto se stesso. Il gioco di Zeman è sempre stato finalizzato a segnare tanti gol, sì. E cosa c’è di più bello nel calcio che segnare gol? Zeman mi ha sempre incuriosito, di lui mi ha parlato tanto Chamot (compagno di nazionale) e Baiano che è stato mio compagno alla Fiorentina. Il Foggia degli anni novanta è stata una squadra pazza e incredibile. Una grande sorpresa per la serie A».

Atalanta e Udinese.

«Sì, sono due squadre che mi piacciono molto, attaccano e cercano la vittoria in tutti i modi. Provano a fare gol con tanti giocatori. Anche il Napoli gioca un grande calcio, la squadra di Spalletti la considero una delle favorite insieme al Milan. La Fiorentina? Italiano mi piace, ha la sua idea di calcio, crede in qualcosa e lavora su quello. Cambiare può essere giusto, ma chi lo fa quando le cose vanno male rinnegando il passato non mi piace. L’anno scorso la Fiorentina ha fatto una bella stagione, ma quest’anno forse non ci sono gli uomini giusti al posto giusto».

Jovic.

«Non lo vedo come un centravanti vero, mi sembra più una seconda punta. Mi sembra gli manchi un po’ quell’istinto del gol che è tipico dei grandi attaccanti. I bomber vivono per il gol».

A proposito di Firenze.

«Sono arrivato a Firenze da solo e me ne sono andato con tre figli. Il rapporto con la città è fortissimo, lì sono cresciuto come calciatore e come uomo, eppure nei primi anni non tutto è andato bene, ma era anche colpa mia. Ero un ragazzo di campagna catapultato prima a Buenos Aires e poi a Firenze senza capire cosa mi stava succedendo, però segnavo tanti gol e tutto diventava facile. Sentivo molto la pressione, perché allora in serie A c’erano pochi stranieri e su di me il club puntava molto. Poi sono diventato giocatore e ho capito come stare in campo e cosa fare per raggiungere il mio obiettivo, che è stato sempre quello di fare gol. Se può essere il posto giusto per una nuova avventura? Io dico di sì, sono pronto. Per adesso non c’è mai stata la possibilità di tornare, ma credo che la Fiorentina abbia bisogno di una figura carismatica, come Zanetti all’Inter o Maldini al Milan. E anche alla Roma non dovrebbero fare a meno di Totti. Per far funzionare un club non bastano solo i risultati del campo, sono importanti anche le emozioni che si suscitano nella gente, i rapporti con i tifosi e la comunicazione. Questo può farlo chi ha fatto bene e dato tanto al club, chi è riuscito a creare appartenenza. Chi vince sempre ha queste caratteristiche. Quando sono arrivato all’Inter c’era Facchetti, un punto di riferimento, un modello».

I Mondiali. L’Argentina…

«Penso che l’obiettivo sia vincere e hanno tutto per farlo. La vittoria in Coppa America (che Batistuta ha vinto due volte) ha liberato Messi dal complesso che aveva con l’Albiceleste, sembrava riuscisse a vincere solo con il club. Adesso è più rilassato, maturo e resta sempre il miglior giocatore al mondo».

E l’Italia…

«Se guardo giocare l’Italia adesso non la riconosco. È sempre stata una squadra che puntava alla difesa e al contropiede, aveva una sua identità ben precisa che adesso si è un po’ persa. La mia non è una critica a Mancini, anzi devo dire che lui è stato molto coraggioso a intraprendere un nuovo percorso cercando di far crescere il calcio italiano. Però mancano i talenti, soprattutto i grandi attaccanti».

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