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Fascetti: «Nel pallone non ci sono dogmi. Un bravo allenatore deve saper osservare e rielaborare alla bisogna»

A La Verità: «Oggi mi stupisco quando vedo i passaggi dal portiere al terzino e viceversa, i troppi palleggi, le idee fisse. Conta giocare in verticale».

Fascetti: «Nel pallone non ci sono dogmi. Un bravo allenatore deve saper osservare e rielaborare alla bisogna»

Su La Verità un’intervista ad Eugenio Fascetti. Ex centrocampista e allenatore, ha 83 anni, è diventato famoso per il «caos organizzato» del suo Varese, negli anni Ottanta.

«Caos, o anche casino organizzato, nacque da un principio su cui ho fondato la mia idea di calcio: l’imprevedibilità. Nel pallone non esistono dogmi, sistemi monolitici. Le squadre devono sapersi adattare all’avversario e sorprenderlo laddove non se lo aspetta. Senza offrire punti di riferimento».

Oggi è diverso.

«Oggi mi stupisco quando vedo i passaggi dal portiere al terzino e viceversa, i troppi palleggi, le idee fisse. Per me il rapporto spazio-tempo è fondamentale, conta giocare in verticale, non sono mai impazzito per per tiki-taka e affini».

Ogni era ha le sue grandi invenzioni.

«In ogni era emerge un’idea nuova, che spesso tanto nuova non è. Pensiamo al falso nueve: già nel 1952, la grande Ungheria impiegava Hidegkuti in un ruolo simile, trasformandolo in un centravanti di manovra a cui molti, in seguito, si sono ispirati».

Non si inventa nulla, dunque?

«Valgono i corsi e ricorsi della storia. Già l’Uruguay del 1950 giocava a cinque. Un bravo allenatore deve saper osservare, capire, rielaborare alla bisogna a seconda dei mezzi che ha a disposizione. Per me questa è l’essenza del mestiere».

Mai restato sorpreso da qualche formula?

«L’Olanda del calcio totale. Quella forse fu la novità vera più dirompente mai introdotta».

Al Bari Fascetti scoprì e lanciò un giovanissimo Cassano.

«Appena lo vidi giocare pensai subito che avevamo di fronte un prodigio. Aveva circa 16 anni. Fisicamente fortissimo, in campo non lo buttavano giù neanche le cannonate. Tecnicamente maestoso. E poi sveglio, intelligente. Sapeva pensare giocate prima di tutti gli altri, con una velocità d’esecuzione inspiegabile per un ragazzo così giovane».

Avrebbe dovuto fare di più, in carriera?

«Cassano è dello stesso livello dei Baggio, dei Totti, dei palloni d’oro. Di sicuro avrebbe potuto raccogliere ancora più soddisfazioni. Ribadisco: è sempre stato un ragazzo molto intelligente. Di certo ha avuto un’infanzia problematica, e il desiderio di rivalsa ha inciso. Sul resto, non saprei».

 

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