A La Repubblica: «Ero solo un timido che passava per uno migliore di quanto fosse. Quello perfetto era Scirea, arrivai a invidiarlo, me ne vergogno»
Maurizio Crosetti intervista Dino Zoff su La Repubblica.
«Una vita da Zoff non è servita a niente di speciale. Invecchiare è dura ma speriamo che duri. Non mi sento una leggenda, mi sento una persona che ha lavorato bene. Ma niente di quello che ho fatto resterà».
Spiega:
«Non ho inciso su niente, potevo fare meglio, potevo fare di più. Potevo dire le parole che non ho detto. Ti voglio bene a Enzo Bearzot non l’ho detto mai, e ora me ne pento, però l’ho amato più di mio padre. Noi friulani ci vergogniamo di tutto».
Ancora su Bearzot.
«Era il più grande di tutti, il Mundial lo vincemmo grazie a Bearzot che è stato prima offeso, poi osannato falsamente e infine dimenticato: non perdonerò mai chi gli ha fatto questo. Enzo fu trattato con violenza, fu malmenato dalla critica. Tuttavia non ne soffrì, perché sapeva come va il mondo. Lo ferirono molto di più i complimenti fasulli».
Parla di Gaetano Scirea.
«Io ero soltanto un timido che passava per migliore di quanto fosse. Quello perfetto era Gaetano Scirea, lui sì. Gaetano era l’essenza dello stile di un uomo, la forma che diventa sostanza. Mi chiedevo come facesse. Arrivai al punto di invidiarlo, anche se eravamo amici fraterni, e ora di questo mi vergogno».
Nel Mondiale del 1982 l’Italia affrontò l’Argentina.
«La partita più bella di tutte, una battaglia sublime contro un avversario feroce e furbo. Ma a loro non bastò. Giocai per la prima e ultima volta contro Maradona, una creatura non di questa terra, bastava uno sguardo per capirlo. Il mio amico Luciano Castellini mi diceva che Diego poteva fare gol anche con la spalla, colpendo forte come se fosse stato il piede».
Qualche anno fa Zoff ha rischiato di morire.
«Encefalite virale: non riuscivo più a camminare. Il medico mi disse che se il virus avesse attaccato il cervelletto, addio. Non ho alcun merito, sono semplicemente rimasto in campo».
E adesso, Dino?
«Se la vita dura un metro, mi restano pochi centimetri ma la passione non finisce. Ho cercato di esserne degno e rispettarla. Ora spero soltanto di rimanere vigile».
Sul suo passato da portiere.
«Penso di essere stato soltanto un portiere di buona considerazione e di avere fatto qualche parata come Dio comanda. Ero più forte da vecchio che da giovane. Ero serio nel lavoro e avevo un fisico pazzesco, mai malato, mai infortunato, questo sì».