«Il punto di rottura fu non riuscire a sopportare le aspettative dell’ambiente esterno. Praticamente avevo perso la visione di cosa volesse dire essere una ragazza di 15 anni con le sue emozioni, la sua sensibilità, i suoi sogni quotidiani fuori dallo sport. Ero diventata un piccolo automa che doveva pensare solo al tennis. Il destino degli atleti spesso è terribile: non ci viene concesso di essere normali, viviamo in una dimensione in cui siamo entità senza un’età e senza sentimenti».
Quando rivelò il malessere attraverso cui era passata, disse che erano stati decisivi i sorrisi dei suoi allievi al Circolo di Pontedera per convincerla a tornare.
«A me piaceva molto fare l’insegnante di tennis ed ero fermamente convinta che sarebbe stato il mio lavoro per il futuro. Ma a 21 anni mi sono resa conto che non era ancora il momento di investire tutte le energie su quello. Sentivo che dovevo darmi un’altra chance nel tennis di alto livello. Ma certamente la serenità che mi ha dato l’esperienza da insegnante mi ha permesso di discernere con la mente finalmente libera quello che desideravo realmente».