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L’Equipe racconta il Bodø/Glimt il club sostenibile: ecologia, gegen-pressing e plusvalenze

Ogni anno due terzi dei calciatori vengono venduti. Nel 2009 il club fu sull’orlo del fallimento, venne salvato dagli abbonamenti. È una filosofia di vita

L’Equipe racconta il Bodø/Glimt il club sostenibile: ecologia, gegen-pressing e plusvalenze
Roma 04/11/2021 - Conference League / Roma-Bodo/Glimt / foto Image Sport nella foto: tifosi Bodo/Glimt

Benvenuti a Bodø, nelle terre del nord, Capitale Europea della Cultura nel 2024, a mille chilometri da Oslo. Qui un tempo le persone indossavano pelli di renna per sfidare le temperature gelide. Dal 2020, questa piccola città di 52.000 anime è la più settentrionale d’Europa ad aver mai ospitato una squadra che ha vinto un campionato nazionale di calcio.

Lo scrive L’Equipe che dedica un lungo approfondimento al Bodø/Glimt la squadra norvegese che è stata l’incubo della Roma di Mourinho. Bodø è una città che non si presta per niente al calcio, scrivono i francesi. Fino agli anni 80, i calciatori erano costretti ad allenarsi su distese di ghiaccio. Qui ha visto la luce un club «aperto». Così lo definisce l’allenatore Knutsen. Il club è uno dei fiori all’occhiello di un posto di persone accoglienti e alla mano, dove «tutti conoscono tutti».

La novità è la vittoria. Che è il risultato di calcio intenso ed offensivo. Di tutta la bontà dei norvegesi – della loro accoglienza – in campo non c’è traccia. Negli allenamenti, sempre aperti al pubblico, il tecnico Knutsen urla e impartisce ordini. Chiede un’intensità pazzesca. «Capovolgi il gioco». Ma il lavoro incredibile è sul pressing cui vengono educati gli attaccanti. L’allenatore lo chiama continuamente, fingendo colpi di tosse.

«La maggior parte delle squadre norvegesi si schierano col baricentro bassissimo e parcheggiano l’autobus»,  spiega il difensore centrale Brede Moe, al Bodø/Glimt dal 2014. «Noi invece lavoriamo molto sulla fase offensiva, a cui la squadra partecipa»

Per abituarsi a questa intensità i calciatori nuovi hanno bisogno di qualche mese. Lo racconta Hugo Vetlesen, madre francese, uno dei leader della squadra.

«Al Bodø/Glimt mi hanno fatto capire che è più importante quello che abbiamo di fronte, non quello che abbiamo dietro. In questo senso siamo un piccolo Liverpool di Klopp»

Sono i concetti del gegen-pressing che i giocatori hanno interiorizzato. I giocatori che spiccano vengono regolarmente ceduti: la formazione viene rivoluzionata ogni anno per quasi due terzi, ma i concetti rimangono pressoché gli stessi. Basti pensare che solo quattro dei calciatori che hanno battuto la Roma il 7 aprile (2-1) erano titolari pure sei mesi prima contro il Louve.

Quest’attività di player-trading non pregiudica i risultati, eccezionali. Di cui, dice il presidente Thomassen, «la gente è orgogliosa». E non potrebbe che esserlo, se si considera che fino al 1972 i club della Norvegia settentrionale non potevano manco giocare il campionato più importante. Era una forma di apartheid, racconta l’Equipe. A Oslo si leggeva sui cartelli che le stanze erano in affitto, sì, ma non agli abitanti delle regioni settentrionali. Ora, anche grazie ai successi del Bodø/Glimt, la situazione si è ribaltata: l’outfit giallo viene sfoderato con onore, come segno di appartenenza. E le maglie le vogliono acquistare così tanti stranieri (gli introiti per il merchandising sono cresciuti da 30.000 a oltre 440.000 euro in tre anni) che il club spesso non riesce ad accontentare tutti. D’altronde, il Bodø/Glimt è gestito in pochi metri quadri, funziona come una famiglia. Possiede strutture all’avanguardia, ma piccolissime. Lo store ufficiale è a una decina di metri dall’angusto ufficio del Presidente, da quelle parti si allenano pure i calciatori (gli si può perfino chiedere i selfie!).  Il patron della squadra, scrive l’Equipe, è ossessionato dalla sostenibilità del club. Che poteva fallire nel 2009 e che è stato salvato dagli abbonamenti. Ora è una società solida.

«Nel 2017 abbiamo ricominciato e non ci siamo dati limiti. Alcuni giocatori, che soffrivano la pressione, hanno iniziato a lavorare con un mental coach, Bjorn Mannsverk. Via via è diventata una strategia per tutto il club. Ci permette di riflettere su come lavoriamo, su come mettiamo a sistema le energie. Per ottenere i migliori risultati bisogna ottenere il meglio da tutti i calciatori, la chiave del successo è la mente»

Thomassen, il Presidente, è uno che non evoca la vittoria, ma la prestazione. Non parla di sponsor, ma di partner. Discorre abitualmente del «ruolo sociale ed ecologico» del Bodø/Glimt, che porta sulla maglia il logo «Action Now» per gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. È l’immagine di un club che la pensa consapevolmente in modo diverso, con il 40% dei suoi giocatori provenienti dal nord della Norvegia e dalla sua accademia. Che entro due anni prevede la costruzione di un nuovo stadio, autosufficiente dal punto di vista energetico. E che ha fatto un percorso virtuoso anche nelle coppe europee. Percorso per davvero, un percorso di oltre 50000 km da Roma a Glasgow passando per Varsavia, Reykjavik, Sofia.

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