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È un Napoli imborghesito, c’era una volta il furore mazzarriano

Il Napoli si auto-convince d’essere una potenza ma è solo, da anni, vittima di un disfattismo ambientale che dai media arriva fino ai tifosi

È un Napoli imborghesito, c’era una volta il furore mazzarriano
Napoli 18/04/2022 - campionato di calcio serie A / Napoli-Roma / foto Image Sport nella foto: delusione Napoli

Il Napoli si è imborghesito, si comporta come una realtà d’élite ma è schiavo del suo mostro: l’apparenza, nei fatti si sgretola, si perde, si auto-convince d’essere una potenza ma è solo da anni, vittima di un disfattismo ambientale che parte dalla stampa fino ad infrangersi sui tifosi, unici a tenere il polso dei sentimenti veri, senza pretese narcisistiche di riconoscenza. Lo scudetto è un’ossessione, una imposizione, una richiesta, un sogno, senza però avere reali possibilità di competere se non estemporaneamente, trovandosi per caso li dove osano le illusioni. Solo una volta è sembrato nostro realmente, si schiantò il 28 aprile di quattro anni fa tra Pjanic ed Orsato, tra Firenze ed un albergo triste di polemiche, lacrime e rabbia.

Dalla rivolta proletaria, dalla mobilitazione verso il Palazzo, la commistione tra strati sociali e squadra, un unicum spontaneo di compattezza, ad oggi, allo scoramento generale di una Napoli che è costretta ad accettare che oltre non si può più andare. No, oltre non si può andare, altrimenti certi treni si aggredirebbero come nei film western, all’arma bianca, a pizzichi e a morsi. Come avveniva, ad esempio, nell’era mazzarriana, quando con una rosa non di certo di prima fascia, si andava a sputare sangue su tutti i campi, in Europa e in Italia, si arrivava secondi, si arringavano le folle, si buttava fuori il City, si usciva con rammarico col Chelsea a Londra. Quel Napoli indomito e temuto che aveva l’aria di essere un ventenne pronto a mangiarsi il mondo. Ora, cresciuto, ha smarrito la fame, si è adagiato sui problemi annosi della trasparenza delle competizioni, ha perso di vista la carnalità della sua missione, quella che scava nell’animo di ogni tifoso rispondendogli a tono, occhi su maglia.

L’apice sarriano e la consapevolezza con Ancelotti, naufragata in una necessità di non evolversi per non perdersi e per farlo si è arenato mischiando nuovamente le carte. Eppure sembrava l’anno buono. Eppure quest’anno si è avuto il coraggio di urlarlo l’obiettivo scudetto nelle conferenze ma al Maradona, tra la gente, si sono buttati punti, è venuta a galla la pancia piena di chi crede di essere ma non è. Di chi appare ma non concretizza. Di chi si adagia sulla fallibilità degli alibi senza dare di più di quello chi si aspetta. La personalità non c’entra, manca l’appartenenza che non è l’amore per la maglia, nessuno la mette in dubbio, né la voglia di dare il massimo, ma un concetto più ampio che riguarda l’identificazione con la città ma anche con il club.

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