È troppo importante per l’industria dell’hockey. Si vantava di avere il numero personale di Putin, ora gli sponsor lo stanno abbandonando
Alexander Ovechkin è una specie di Ronaldo, di Messi, dell’hockey su ghiaccio. E’ a un gol dal sorpasso di Jaromir Jagr al terzo posto nella lista dei migliori marcatori di tutti i tempi della NHL, il campionato americano. L’attaccante russo dei Washington Capitals è a quota 766 gol, ma ha il record di Wayne Gretzky (894) come obiettivo. Ora ha un problema molto più serio dei record: la più grande star dello sport russo è un fan di Putin. Di più: è considerato un amico del presidente russo che ha scatenato la guerra in Ucraina. Anni fa si vantava di avere il suo numero privato. Ora è in un limbo: negli Stati Uniti lo criticano, vorrebbero sanzionarlo, ma è troppo importante per l’industria dell’hockey.
Ha reso grandi i Capitals e li ha portati alla loro prima Stanley Cup, il suo stile di gioco spettacolare è considerato uno dei motivi della ripresa della NHL dopo il fallimento del 2005. Lui e il suo rivale canadese Sidney Crosby (dei Pittsburgh) sono tra le star del movimento e nel 2021 la maglia di Owetschkin era ancora la più venduta negli shop della NHL.
Ora però gli sponsor non fanno più pubblicità con Ovechkin, viene fischiato nei palazzetti del ghiaccio avversari, sui social network non ne parliamo. E’ rimasto in silenzio per giorni, poi si è consegnato ai media, ma tutto ciò che è riuscito a tirarne fuori è stato un “Per favore, basta con la guerra”. Nessuna critica a Putin. “Sono solo un atleta, non un politico”, ha detto.
Invece Ovechkin non è mai stato solo un atleta. Quando i russi hanno annesso la Crimea nel 2014, ha mostrato un cartello su Instagram che diceva “Proteggi i bambini dal fascismo”, diffondendo la storia del Cremlino secondo cui i bambini russi venivano salvati dai neonazisti ucraini. Per le elezioni presidenziali del 2018 ha persino lanciato una sua campagna, il “Putin Team”. Ha scritto: “Non ho mai nascosto la mia posizione in favore del nostro Presidente e l’ho sempre sostenuto”.
Tutto questo ora gli si ritorce contro. E non solo a lui: gli atleti russi negli Stati Uniti cercano di restare “coperti” sia con le dichiarazioni che con le misure di sicurezza. Sperimentano così tanta ostilità che alcune squadre della NHL hanno richiesto la protezione della polizia e il consulente Milstein parla anche di minacce di morte. “Stiamo tornando indietro di 30 anni”, dice, riferendosi al periodo successivo alla Guerra Fredda, quando i primi europei dell’Est arrivarono in NHL e furono maltrattati da giocatori, tifosi e media.