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Nicola Savino: «Il mio problema è stato superare l’assenza di mio padre»

Al CorSera: «Fino a 14 anni non c’era mai, poi si ammalò di depressione. I lutti sono difficilissimi da mettere nei cassetti»

Nicola Savino: «Il mio problema è stato superare l’assenza di mio padre»

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Nicola Savino. Grande tifoso dell’Inter e del Cosenza, è imitatore e
doppiatore. Si descrive così:

«Non sono una persona con cui è facile convivere. Sono piuttosto permaloso e ansioso, dormo anche poco e male, di base in due tempi: solitamente qualche ora, poi mi sveglio, magari leggo il giornale in piena notte e alla fine mi riaddormento».

Una delle cose che lo hanno più segnato, nella vita, è stata l’assenza del padre. Racconta che suo padre lavorava all’estero e che nei suoi primi 14 anni di vita non c’è mai stato. Poi si è ammalato.

«Ha avuto una depressione fortissima. Si è ammalato proprio quando sono nato io, ma poi è peggiorata. Non è semplice per un figlio crescere con un genitore gravemente depresso».

Continua:

«Da piccolo non avevo gli strumenti per capire cosa fosse quello che allora chiamavano “l’esaurimento nervoso”. Tu vuoi che tuo padre giochi con te a pallone, ti porti a vedere la partita… vuoi insomma che sia un padre, ma questo non era possibile. Lo facevano i miei zii, forse provando anche un pizzico di compassione per quel bambino piuttosto solo, visto che le mie sorelle erano più grandi. Crescendo, mi è capitato poi di vedere mio papà in stato confusionale… momenti rari, per fortuna, ma sono successi. Cerco di non pensarci sempre perché mi do fastidio da solo e l’analisi prova a lenire il problema, ma quando ti manca qualcosa di così importante da piccolo, superarlo non è semplice».

Hanno recuperato un rapporto solo negli ultimi anni della vita di suo padre. Savino lo ha accudito, standogli molto vicino.

Su sua mamma:

«Era mamma ed era papà. Lavorava anche lei però doveva badare a tre figli. Adesso capisco tutta la fatica e ho grande stima e ammirazione per i miei. Mi hanno trasmesso una cultura profonda per il lavoro, un grande rispetto. Ancora oggi mi ci rivedo e mi piace anche».

Anche la mamma è morta, poco prima del suo debutto a Quelli che il calcio.

«L’ho vissuta con addosso il lutto più tragico ma non ne parlavo con nessuno allora. Ero dentro un tunnel e non lo sapevo. Per tutti i primi mesi ero distrutto, come se mi avessero tolto la pelle dal corpo, ma dovevo spingere, andare avanti. I lutti sono difficilissimi da mettere nei cassetti: sono come un cerchio di fuoco attraverso cui tu passi. In quel periodo mi fu molto di conforto anche la religione, che adesso pratico meno. Ero in mezzo al mare e mi sono aggrappato anche a quella cosa».

Nell’intervista racconta il fondamentale incontro con Fiorello («Io e Fiorello eravamo gli ultimi arrivati, stando con lui ho visto cose che voi umani…») e l’alchimia con Linus:

«La nostra è un’alchimia che ti capita una volta ogni cento anni. Penso che il segreto sia stato crescere assieme. Linus è cresciuto tantissimo, prima era molto più superficiale di adesso. Ora è veramente profondo e sensibile. Poi, a differenza mia, che leggo quasi solo giornali, lui legge molti libri. Io con i libri mi annoio, confesso. Ma ci arriverò».

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