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Il tiro di Fabian e il coraggio dello sport nei giorni importanti della vita

Il coraggio di Lewandowski, Szczesny, Zinchenko, Mykolenko, Vitali, Yaremchuk, De Zerbi che a Kiev trova ispirazione nel petto di Maradona

Il tiro di Fabian e il coraggio dello sport nei giorni importanti della vita
Seoul 26/02/2022 - guerra in Ucraina / foto Imago/Image nella foto: manifestazione ONLY ITALY

L’arco di Fabian arriva sul terminare della sera, dove per sua natura siede deferente e niente affatto silenzioso lo sport quando cose più importanti, nella vita, fanno capolino, come ribadito con coraggio da Lewandowski, Wojciech Szczesny, Zinchenko, Mykolenko, Vitali Klitschko, Sofiia Yaremchuk e molti altri. Si insacca nella porta bianco celeste a valle di ore in cui centinaia di migliaia di manifestanti a Berlino hanno sfilato sotto la porta di Brandeburgo, che novant’anni fa vestiva le insegne dell’orrore. Si sono mossi in cammino contro la guerra, in difesa di quanto l’Occidente, spesso dipinto come un eterno turista in ciabatte a ciondolare in un bad&breakfast, sta per la prima volta provando a meritarsi – la libertà.

La libertà

La libertà di guardare la bellezza che ci pare, e come ci pare, arrivare al novantaquattresimo. La libertà di sostenere che è destinato a fallire chi sostiene che dove passano le merci non passano le guerre. Giunge dopo un grigio giovedì pomeriggio, quando mi sono ritrovato, durante la manifestazione nella capitale tedesca sotto l’ambasciata russa, a dialogare con qualcuno che mi ha chiesto, riconoscendomi italiano, che cosa appoggiassi, ed ho risposto che io, oltre alla pace, appoggio i cannoli alla siciliana con la granella di pistacchio, e se un giorno si dovesse organizzare una manifestazione in favore di queste cialde e quelle ricotte, anche in quel caso ci sarò.

L’energia cinetica del pallone andaluso arriva sul calare di una domenica in cui ho visto centinaia, forse migliaia, di persone pazientemente in fila per portare ristoro a chi resiste – spagnoli, italiani, cinesi, americani, turchi. Ho parlato con decine di conoscenti e colleghi che sono alle frontiere in Polonia, in Moldavia, in Slovacchia, ad accogliere chi si conosce e chi non si conosce. Tanto alla fine non fa troppa differenza. E tantissimi ragazzi, quelli che i vecchi cantanti dimenticati danno per perduti nei baretti, magari con una piuma nel culo. E tantissime donne, molte incinte, che trasportano pacchi di assorbenti da spedire ad altre donne, sul fronte o solo in trepidante attesa nelle proprie case, a luci spente, tra Kharkiv e Odessa, dove è stato chiesto di accumulare bottiglie per preparare le molotov.

È il momento di non fare eccessivi distinguo

È il momento di calciarla quella palla, da lontano, rischiando l’effetto. Poche scelte dipendono da noi e non è il momento di fallirle. Il gol di Fabian non risolve una guerra, ma se c’è una cosa che ci hanno insegnato i più tenaci di noi che ci hanno preceduto ricacciando gli oppressori, magari finendo in qualche campo di lavoro, è che niente ha in se’ il potere di risolvere una guerra, eppure mai bisogna essere spettatori dell’ingiustizia o della stupidità – “la tomba ti offrirà un sacco di tempo per tacere” è stato scritto. E per noi, che abbiamo cotanti millenni alle spalle, il tempo è cruciale. Un secondo in più e quella traiettoria si spegne banalmente a lato.

Stasera, lungo il corridoio che mi porta in camera da letto, mi sono fermato per un attimo in più ad osservare in silenzio la gigantografia del salto di Maradona all’Azteca che da quel triste novembre campeggia nel mio corridoio. Ho pensato a De Zerbi che, nel suono delle sirene che a Kiev annunciano i bombardamenti, ha riconosciuto la voce della forza di un’esperienza enorme e triste – la guerra, quanto sa distruggere e quanto sa legare – e ha trovato ispirazione nel petto del Dieci che non ha temuto di insidiare i potenti. Forse anche lui ha negli occhi questa stampa.

Quel salto. Che ancora oggi, al di fuori del tempo, sussurra con una voce sottile come una lama di provare ad avere coraggio. Il calcio può permettersi di suggerirlo, stasera, a chi gioca e a chi lotta sul limite della medesima notte finale. Non è una blasfemia, è sport – quanto viene conservato dopo tanto altro di più importante, ma aspetta pazientemente di brillare, qualche minuto dopo il tempo regolamentare.

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