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Puzone: «Il calcio è la mia vita. È il mio mangiare. Al Napoli eravamo una famiglia»

L’ex compagno di Diego in azzurro in un’intervista al CorMez: «Come calciatore avrei potuto fare molto di più ma era difficile trovare spazio con tanti campioni»

Puzone: «Il calcio è la mia vita. È il mio mangiare. Al Napoli eravamo una famiglia»

Pietro Puzone, campione d’Italia nel 1987 con il Napoli di Diego Armando Maradona, ha rilasciato un’intervista al Corriere del Mezzogiorno. Per anni ha avuto problemi di dipendenza, con alcol e droga, vivendo un momento estremamente buio, dormendo anche sulle panchine.

«Il calcio è la mia vita. È il mio mangiare».

Fu lui ad organizzare la famosa partita nel fango, ad Acerra. Con Maradona condivise tante bravate.

«Eravamo giovani, avevamo il mondo in mano. Soldi, donne e tifosi che ti cercavano ovunque per un autografo. Per questo con Diego non potevamo uscire di pomeriggio, dovevamo uscire di notte… Spesso portavo Maradona ad Acerra, gli prestavo anche casa per stare con alcune donne, così poteva stare più tranquillo e lontano da occhi indiscreti. Tutte le bravate le ho raccontate nella mia biografia».

Cosa ti resta nei ricordi degli anni al Napoli, oltre al rapporto con Maradona?

«La prima cosa è lo scudetto. La seconda è il legame che avevamo in quella squadra. Eravamo una famiglia. Carmando, il massaggiatore che tutti chiamavano a Vecchiarella, è stato un personaggio eccezionale. A Carnevale mi lega un rapporto particolare, per me è un fratello, lo sento ancora spesso. Quando abbiamo vinto lo scudetto noi non ci credevamo. Per Napoli quello scudetto ha significato tanto. Eravamo diventati campioni d’Italia ma per la città era come se avessimo vinto un mondiale».

Ha smesso di giocare a 27 anni. Che rimpianti ha?

«Come calciatore avrei potuto fare molto di più ma avevo davanti a me giocatori grandiosi: Maradona, Giordano, Careca, Carnevale. Trovare spazio quando ci sono in squadra calciatori come loro è difficile. Mi paragonavano a Bruno Conti. Ero un giocatore di grande fantasia, amavo i dribbling, ho sempre giocato per divertire e per divertirmi. Quando ero ragazzino al torneo di Viareggio, incontrai come avversario Sebino Nela, uno dei difensori più tosti della storia. Poi però le bravate si pagano e ho iniziato la parte discendete della carriera. Ho chiuso con il professionismo nel 1990 a Ischia. Poi ho giocato un po’ in giro tra i dilettanti. Non riuscivo a lasciare le scarpette ma alla fine non riuscivo neanche più ad essere il giocatore di prima. Oggi il calcio è ancora la mia vita, mi occupo anche di osservare qualche ragazzo di Acerra e di presentarlo alle scuole calcio che contano».

 

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