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L’ex ct Berruto: “Così abbiamo portato in Italia la pallavolista di Kabul che i talebani volevano uccidere”

Su Repubblica: “Mi ha scritto, era terrorizzata. Ha viaggiato da sola per 900 km senza documenti. Abbiamo fatto un grande lavoro diplomatico”

L’ex ct Berruto: “Così abbiamo portato in Italia la pallavolista di Kabul che i talebani volevano uccidere”

Safiya, la giovane pallavolista afghana che per settimane ha rischiato di essere usccisa dai talebani, alla fine ce l’ha fatta. Ora è in Italia. E Mauro Berruto, ex commissario tecnico della nazionale di volley, oggi responsabile sport del Pd, che ha collaborato al suo come di altri espatri di sportivi dall’Afghanistan, racconta a Repubblica il “salvataggio“.

Repubblica racconta di come si è ritrovata “a vent’anni da sola, nascosta per tre settimane come un topo in trappola in una Kabul tornata al Medioevo, le notti trascorse dietro la finestra a filmare nel buio i bagliori delle esplosioni e degli spari, il terrore di vedere sfondata la porta del suo rifugio e finire come la sua compagna di squadra, uccisa dai talebani, la foto del cadavere fatta girare per far capire la sorte riservata a ragazze come loro, colpevoli di aver giocato a pallavolo a capo scoperto”.

Berruto descrive il tribolato percorso che l’ha portata in Italia:

“Non conoscevo neanche questa ragazza. Per un singolare meccanismo di triangolazione, che ha fatto sì che circolino i numeri di chi si sta dando da fare per aiutare chi è rimasto bloccato laggiù, mi è arrivato un suo messaggio via whatsapp. Era disperata. “Ti prego, aiutami, mi uccideranno come hanno fatto con la mia compagna di squadra. L’hanno massacrata come un animale. Io e le altre siamo tutte nascoste, ma ci troveranno e faremo la stessa fine. Sui social stanno facendo girare i video della nostra squadra”. Ogni notte mi mandava video agghiaccianti: il buio di Kabul squarciato da esplosioni e colpi di arma da fuoco. In più lei non aveva neanche il passaporto dietro, insomma farla uscire da lì sembrava impossibile. I nostri diplomatici hanno fatto un lavoro gigantesco preparando tutti i documenti che servivano e abbiamo fatto squadra, team building. Io facevo l’allenatore e la motivavo e lei ha tirato fuori un coraggio da leone. Il momento più drammatico è stato quando le ho detto: “È tutto pronto, adesso tocca a te. Te la senti di scappare da sola e provare a raggiungere il confine?”. “Stanotte ci provo”. La prima volta ha fallito, la seconda è andata. Venti ore di silenzio assoluto, poi un messaggio da un check-point: “Ho paura, che devo fare?”. E poi finalmente quel: “Sono passata”. Ma era solo l’inizio”.

Da dove è riuscita a passare?

“Questo non posso dirlo. Ovviamente da un Paese confinante in cui ha viaggiato da sola, senza documenti, per altri 900 chilometri prima di raggiungere il nostro consolato dove l’aspettava un visto e un biglietto aereo. Quando sembrava tutto fatto l’ultima doccia fredda. La polizia l’ha fermata all’aeroporto perchè era entrata illegalmente in quel Paese. E ha perso l’aereo. “È tutto finito”, mi ha scritto disperata. Ma ancora una volta i nostri diplomatici hanno fatto il miracolo e la sera dopo è riuscita a salire sull’aereo. Gli ultimi minuti sono stati i peggiori. Temeva che la facessero scendere”.

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