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I numeri di Tim svelano il falso mito degli italiani disposti a tutto per il calcio

Tim ha raccolto un terzo degli abbonati previsti. Forse ha sovrastimato il mercato italiano, basandosi su un luogo comune. Offrendo peraltro un prodotto scadente

La messa è finita, andate in pace a godervi la vostra domenica di pallone. E frotte di italiani medi abbigliati a festa facevano il carico di paste, per andare dalle mamme e dalle suocere a consumare il rito: primo-secondo-contorno-frutta-dolci-pallone. E’ un cliché come tanti, dai toni seppia, che ben ci sta: una storia accudente di normalità, di relax. Che eravamo pronti a pagare, anche tanto, inseguendo il progresso delle tecnologie, le parabole e le reti (perché tutto è un rimando alla Bibbia, in questo Paese). Ce la siamo raccontata così, mitizzando un po’, e ci si è ritorta contro. Ora che il calcio diritto inalienabile d’un popolo è diventato una leva economica, quasi un ricatto emotivo.

Sky, Dazn, e Tim in seconda battuta hanno puntato sulla nostra imperturbabilità: gli daremo il pallone che rotola, loro pagheranno. E se glielo daremo sfarfallante, pixelato, asincrono, in ritardo, se pure glielo dovessimo negare per lunghi tratti, pagheranno lo stesso. Perché? Non possono farne a meno.

E se invece così non fosse? E se il popolo dei consumatori, scremato dello zoccolo inscalfibile – per altri versi addomesticato, vittima arrendevole – non fosse disposto a pagare per un prodotto del genere? Se il calcio non fosse più un bene di prima necessità?

I malfunzionamenti e le beghe tecniche, i calendari saturi e frastagliati, gli arcipelaghi di piattaforme ognuna col suo abbonamento ognuno diverso, hanno nascosto il polverone sotto il tappeto del luogo comune. La disaffezione non è una grana inedita. La Serie A è diventata un campionato decadente, e la gente aveva preso a frequentare meno gli stadi anche prima che li chiudessero e ne invocassimo la riapertura come panacea di tutti mali finanziari del sistema. Dazn ha solo funzionato da innesco, almeno per l’utenza meno fedele.

Da quanto è partita l’avventura del ticket Dazn-Tim-Serie A non si hanno cifre ufficiali: non quelle degli abbonati effettivi, e nemmeno di una audience certificabile. Ma Tim sconta, al termine del trimestre di lancio in pompa magna della sua operazione telecom-calcio, un certo imbarazzo: si aspettava un milione e mezzo di nuovi contratti. Consumatori di fibra agganciati all’amo del pallone, pronti a disdire Sky e internet provider concorrenti adescati dal tutto-incluso super-conveniente. Ne ha raccolti un terzo, mezzo milione scarsi.  Partenza a razzo a luglio, con 400 mila nuovi abbonati, e poi la frenata, un po’ per le ferie agostane, un po’ per la balbuzie tecnica di Dazn, varie ed eventuali. Un mezzo flop, in ogni caso.

Tim ha puntato fortissimo sulla Serie A come volano economico. Così tanto che il suo intervento ha di fatto anabolizzato l’asta per l’assegnazione dei diritti tv. Contribuendo a sopravvalutare un prodotto con un fascino scolorito dal tempo e dalla concorrenza. Ha speso oltre 70 milioni nel primo trimestre per l’implementazione tecnica di rete, modem e multicast, e s’è impegnata per 340 milioni l’anno con Dazn. Tim resta il main sponsor della Serie A.

Dazn, forte di un supporto finanziario (e politico) di questa portata ha potuto agilmente battere la concorrenza di un colosso come Sky. Che pure, dopo anni di esperienza anche contabile da monopolista del settore, aveva valutato il prodotto calcio italiano con più accortezza. Sky ora affronta le conseguenze tangibili della sconfitta, con un ridimensionamento a vari livelli (giornalistico, pubblicitario ecc.), ma non in termini di clienti. Anche in questo caso numeri ufficiali non ce ne sono, di sicuro è scesa sotto quota 4,8 milioni, ma per i media di settore non si registra l’atteso crollo verticale.

Insomma, la palla rotola come ha sempre fatto, ma non è detto che la gente continui a seguirla.

Di nuovo: se il comun denominatore fosse l’italiano che nel frattempo ha scelto di spendere meglio il proprio tempo libero? Quello che ancora nell’immaginario collettivo vivacchia al Bar Sport e che parla di ripartenze e diagonali come critica i giornali, non comprandone uno dal 1996?

Forse mentre noi alimentavamo la bolla del pallone, se ne sgonfiava un’altra: quella del tifoso acritico che non avrebbe adorato altro dio al di fuori del calcio. Il calcio-spettatore pagante ad ogni costo. Che evidentemente ha deciso che quel costo è diventato troppo alto.

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