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Miriam Fatima Sylla: «Niente generalizzazioni, ma non si può sostenere che l’Italia non sia razzista»

La capitana della Nazionale italiana femminile di volley al Corriere: «Mio padre dormiva alla Caritas, una signora lo aiutò e diventò mia nonna. Sono italiana grazie a due nonni speciali»

Miriam Fatima Sylla: «Niente generalizzazioni, ma non si può sostenere che l’Italia non sia razzista»
Dall'account Fb della Pallavolo Nausicaa

Il Corriere della Sera intervista Miriam Fatima Sylla, capitana della Nazionale italiana femminile di volley. Racconta l’amicizia con Paola Egonu.

«Quando nel 2018 mancò mia mamma mi disse che avrebbe mollato ogni cosa e sarebbe venuta con me. Non è da tutti: e lei giocava ancora a Novara…».

La vita di Miriam racconta una storia di integrazione ed emancipazione. E’ nata a Palermo, ma i suoi genitori sono originari della Costa d’Avorio. Lì sono le sue radici, dice. E racconta la sua infanzia.

«A Palermo c’è il mio inizio ed è il luogo dei nonni adottivi. Ha sole, caldo, allegria: mi assomiglia. I miei nonni sono angeli. Mio padre è stato fortunato a incontrarli. Se mia nonna non gli avesse dato un passaggio, io che cosa sarei stata?».

Racconta:

«Papà era arrivato a Bergamo. Dormiva alla Caritas. Ma faceva freddo e mio zio soffriva: così si trasferirono al Sud. Una sera quella signora, rientrando a casa in macchina, vide mio padre e lo aiutò. Lui cominciò a lavorare per la famiglia, poi mia mamma lo raggiunse: quando nacqui io, queste due persone si affezionarono. Alla nursery facevano vedere a mia nonna tutti i bimbi bianchi. E lei: “No, è quella lì”. L’infermiera strabuzzava gli occhi…».

Nel 2000 Carlton Myers disse che l’Italia è razzista. Oggi la situazione è migliorata?

«Non vorrei scatenare polemiche, più volte mi è stato detto di fare solo l’atleta: però uno sportivo ha anche una testa pensante. Non si può generalizzare, ma nemmeno sostenere che l’Italia non è razzista: sarei tonta a crederlo».

Parla della sua reazione quando sente qualcuno usare l’espressione «negro».

«Che uno lo dica per insultare o tanto per parlare, io lo correggo. E spiego che i compagni mi prendevano in giro, mi svuotavano lo zaino nel pullman e non mi facevano sedere accanto a loro. Non gliela farei passare liscia: non odio, ma evito di perdonare».

Si è battuta per lo jus soli.

«Non avrei dovuto? Per 10 anni ho avuto un passaporto verde, pur non essendo stata in Costa d’Avorio ed essendo nata e vissuta in Italia. Ho avuto una crisi d’identità: sono italiana o no?».

 

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