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Lombardo: «Con me, Insigne, Gigio e Immobile tutta la Nazionale cantava e parlava in napoletano»

Intervista a Repubblica: «Il segreto di questa Italia? Mancini. Ha dato un’identità pazzesca alla squadra»

Lombardo: «Con me, Insigne, Gigio e Immobile tutta la Nazionale cantava e parlava in napoletano»

Il primo dello staff dell’Italia a correre verso il ct Roberto Mancini dopo la vittoria di Euro 2020 è stato Attilio Lombardo. Lo ha abbracciato e gli ha parlato all’orecchio. A Repubblica racconta cosa gli ha detto.

«Gli ho detto semplicemente: Robi, cosa hai fatto, cosa hai fatto Robi».

Quando avete capito che ce l’avreste fatta? Gli chiede Matteo Pinci, che firma l’intervista.

«La verità? Qualche istante prima della parata di Donnarumma. Tutti eravamo convinti che Jorginho avrebbe segnato. Quando Pickford ha parato il rigore ho guardato il tabellone e ho detto: “Se segnano andiamo a oltranza. Ma se Gigio parasse… Vai, che glielo para”. E così è stato, anche se lui non se ne era nemmeno accorto».

Il segreto di questa Italia, dice, è Mancini.

«Facile: Mancini. La squadra ha un’identità pazzesca e gliel’ha data lui. È stato bravissimo perché ha ricostruito un entusiasmo dopo la mancata qualificazione ai Mondiali: in quel momento ha capito che doveva esserci un cambio totale, gente che non avesse vissuto quel lutto. Ha puntato sui giovani, alcuni all’inizio del ciclo non avevano mai fatto una partita in Europa. E nei momenti chiave ha saputo allentare la tensione: prima della finale, quando nella riunione tecnica ha inserito Spinazzola tra i titolari, si è sciolto il clima teso che si respirava».

Ieri Evani ha raccontato che invece a stemperare la tensione era proprio Lombardo.

«È vero, cerco di portare buonumore. Come? Convivendo con loro, come si fa tra compagni. Io ho origini della zona di Napoli e mi mettevo a cantare in napoletano con Insigne, Donnarumma, Immobile. Poi si aggiungeva anche Salsano. Dopo un po’ tutta la squadra non solo cantava, ma parlava anche in napoletano».

Mai un momento di nervosismo.

«Zero. Un altro merito di Mancini è aver tenuto tutti sulla stessa sintonia: ventisei persone per quarantacinque giorni, non è facile eh. Invece anche Castrovilli, Raspadori, sono stati fondamentali: malgrado sapessero che la partita dopo sarebbero andati in tribuna, si allenavano alla grande, sono stati fantastici».

Chi l’ha colpita di più?

«Non è un modo di dire: davvero tutti. I senatori, Bonucci e Chiellini, si sono caricati sulle spalle la responsabilità di un gruppo di ragazzi di ventidue o ventiré anni. Bernardeschi, che ha tirato due rigori pesantissimi. Florenzi, partito per giocare, costretto a fermarsi dopo 45 minuti contro la Turchia e poi rientrato alla grande nell’ultima. Emerson che aveva giocato pochissimo al Chelsea è stato favoloso, purtroppo 4 ore dopo la finale aveva il volo per il Brasile e
non ha potuto festeggiare con noi».

Il momento chiave è stato Italia-Belgio?

«Lì è stato importante Chiellini: avevamo paura non ce la facesse, volevamo recuperarlo perché sapevamo che Luaku contro di lui ha sempre avuto vita difficile. In realtà le abbiamo dominate tutte, tranne quella con la Spagna. Ma una partita su sette, ci sta. Anche in finale, dopo lo svantaggio, l’abbiamo recuperata in modo intelligente, con calma e consapevolezza. Loro ci gufavano, cavolo se ci gufavano. Ma noi siamo stati più forti. Più forti di tutto».

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