Sul Corsport: a 22 anni ha lasciato il Milan per soldi e per carriera. In Italia l’hanno presa male, qui l’ambizione è un peccato. Il mercato, invece, lo ha premiato
Il Corriere dello Sport, a firma Massimiliano Gallo, ha scritto un ritratto di Donnarumma. Ve ne riportiamo un estratto.
Donnarumma è un testimonial contro i luoghi comuni. Li azzera, li ridicolizza, se li mangia a colazione. Ha smontato, uno dopo l’altro, i teoremi sugli italiani bamboccioni (o choosy per dirla alla Fornero, troppo schizzinosi quando si parla di mercato del lavoro), sui giovani che non sono in grado di assumersi le responsabilità, sui ragazzi del Sud troppo mammoni. Ne avete altri? Ah sì il soprannome. Donnarumma ha invertito persino la narrazione su Gigio che da noi è sempre stato il nome di un topo piccolino, tenerone, romantico. Mai avremmo immaginato di associarlo a un portiere di oltre due metri che non ha paura di niente.
Né degli avversari. Né delle polemiche. Donnarumma il mercato del lavoro lo sfida. Lo conquista. Non ne ha soggezione. Del resto ha avviato un sodalizio con il cattivo per definizione: Mino Raiola uno che di fronte ai buoni sentimenti nel calcio si fa una crassa risata. A 18 anni, ai tempi della prima trattativa con il Milan, tifosi rossoneri lanciarono dollari falsi dietro la porta della Nazionale Under 21. Nacque Dollarumma. Finì con un contratto di sei milioni netti a stagione, più uno per il fratello.
Quattro anni dopo, ha salutato il Milan perché riteneva inadeguato l’aumento fino a otto, e perché voleva confrontarsi con un calcio di categoria superiore. Qui l’hanno presa male. In Italia l’ambizione ha sempre una connotazione negativa. In pochissimo tempo si è accasato al Psg: dodici milioni netti a stagione. Come spiegano gli economisti, resta un dato: il mercato non mente mai. Per Donnarumma l’incontro tra domanda e offerta avviene in alto, molto in alto sul grafico.