Tra polemiche per il silenzio stampa e depressione, è una vicenda che appassiona i media mondiali da una settimana. Da noi la trovate nei trafiletti
Uno dei grandi misteri del giornalismo (sportivo) italiano è la riduzione d’un tema da New York Times a trafiletto di pagina 23 su un Tuttosport qualunque. La miniaturizzazione delle notizie nella previsione che al lettore italiano interessi più divagare, divertirsi col calciomercato: è estate, fa caldo. E’ una logica commerciale da bassa animazione, il quotidiano va sfogliato tra un gioco aperitivo e l’altro. Nel frattempo nel mondo accadono cose che prendono tutt’altro fuoco. Tipo Naomi Osaka che prima annuncia sui social una sorta di sciopero da conferenza stampa al Roland Garros, scatenando la reazione indignata del grande sistema tennis, e poi a seguire accenna a disturbi depressivi allargando la questione a dismisura: la salute mentale degli atleti, la responsabilità dei media, la sovraesposizione di giovani esseri umani travolti o meno dalla pressione.
Osaka non è Raspadori, con tutto il rispetto del nuovo Paolo Rossi nazionale. E’ l’atleta più pagata del mondo, secondo Forbes. E’ la numero due del tennis mondiale, è la star del suo sport, minacciata d’ostracismo dai quattro principali tornei del circuito, uniti in una sorta di cartello. Ed ha scatenato – per mezzi scelti e modalità d’esposizione – un dibattito che tra semplici resoconti, approfondimenti ed editoriali impegna il meglio della stampa sportiva internazionale da una settimana. Il NYT appunto, il Telegraph, il Guardian, El Pais, L’Equipe. Come un sassolino lanciato al centro d’uno stagno la discussione s’è allargata per cerchi concentrici, raggranellando interventi e prese di posizione, per lo più solidarietà, tra i grandi campioni degli altri sport. Non ultimo Hamilton. Non pervenuti i calciatori, i quali abitano lo stesso mondo appartato che i media italiani destinano ai loro tifosi.
Una specie di Truman Show nel quale la gallery delle vacanze dorate dei giocatori s’aggiorna in automatico dagli anni 70 (sempre più noiosamente esotiche), ogni giugno che la pandemia ci concede. Una bolla di “il Verona su Di Francesco, ci siamo”.
Metti un po’ di mercato leggero, perché ho voglia di niente, anzi leggerissimo.
Qualche mese fa El Pais ha dedicato a questa nostra depravazione addirittura un pezzo, divertito: “Solo in Italia è un fenomeno degno di tale considerazione, l’Italia è la Mecca di questo bazar delle fantasie”, scrivevano. Pagine e pagine a rincorrere ogni voce, ipotesi, alimentando un concorsone a premi: prima o poi sparando nel mucchio ci si prende.
E’ una predisposizione sistemica del mestiere, con le redazioni da sempre – oggi le redazioni manco ci sono più, ma vabbé – divise tra calcio e “altri sport”. Alla voce altro si concentrano universi infiniti, che solo da queste parte abbiamo il vizio di derubricare in nicchie. I boxini, finisce tutto lì dentro. La storia enorme di Osaka la trovate sparpagliata tre righe qua, quattro là. In generale chissenefrega.
Anche fra chi decide di dedicargli un po’ di spazio – online soprattutto – si riciclano i focus a scatto fisso. E’ un tic: leggi “depressione”, ed ecco pronto il listone dei tantissimi atleti che hanno avuto a che fare col “male oscuro”. E così con l’alcolismo, le malattie in genere. Che tristezza però, voltiamo pagina: hai per caso notizie del terzino sinistro del Napoli? Dov’è Federica Sciarelli quando serve?
C’è come una pellicola di plastica a protezione del nostro buonumore, del nostro meritatissimo relax. Che noi non vogliamo mica rovinare qui, ci mancherebbe. Ma va registrata la difficoltà del giornalismo sportivo italiano di ambire ad altro. Non per qualità di chi la fa, ma per disillusione commerciale. L’idea che in quanto “sportivo” il giornalismo resti spicciolo, e sacrificato, autoreferenziale nel migliore dei casi. Fino a raggomitolarsi in un cantuccio, a censurarsi anche quando lo sport regala spunti più complicati da ingadare, da trattare senza timore di portare a noia il lettore. Osaka – ripetiamo: l’atleta più pagata al mondo, non la campionessa regionale di freccette – è un esempio maiuscolo della nostra piccioneria. Del talento che abbiamo per farci provincia consapevole, in autoisolamento controllato.