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Il calcio spezzatino esiste da anni. Perché oggi questa insurrezione?

L’ennesima battaglia nostalgica da parte di chi dimentica che sono i diritti tv a tenere in piedi il calcio. E che ci siamo abituati da tempo

Il calcio spezzatino esiste da anni. Perché oggi questa insurrezione?

È impossibile contare i nasi che si sono storti negli ultimi giorni a proposito della nuova proposta di palinsesto per la Serie A, tuttora in discussione nelle sale della Lega. Dazn ha ottenuto i diritti del prossimo triennio con un’offerta importante, ma ha bisogno di massimizzare i profitti da questa scelta che comunque espone a qualche rischio, primo fra tutti il passaggio alle piattaforme di streaming di tutto il popolo pallonaro. Anche perché l’emittente, a differenza del rivale satellitare Sky, non sembra avere in programma al momento un’offerta collaterale, fatta di trasmissioni tra una gara e l’altra, con lunghi post partita e approfondimenti.

Da tutta questa serie di motivi presumibilmente nasce la necessità di promuovere un calendario più televisivo, con le dieci partite da disputare in dieci momenti diversi del weekend. Un modo di somministrare il calcio che già è in vigore in Spagna e in Inghilterra, campionati che ci superano in ricchezza perché gestiti in modo manageriale e ottimizzati sul piano economico. È sicuramente presto per esprimere una certa correlazione e individuare anche questa tra le cause del divario finanziario che si è creato col tempo, ma l’aspetto che sorprende è un altro: la sollevazione popolare.

D’altronde, queste sono fertili occasioni per chi adora fare di ogni tema un dibattito acceso. La nostalgia è un tasto sempre dolente per gli appassionati di calcio, che fanno fatica a star dietro a tutti i radicali cambiamenti che lo riguardano e che si susseguono con impressionante velocità. Così al grido di “Tutto il calcio minuto per minuto” (una delle trasmissioni più belle del mondo, sia chiaro) c’è chi protesta, chi invoca un momento di riflessione, chiedendosi se è giusto compiere un altro passo verso la modernità che allontana dal romanticismo. Il punto è che però è davvero troppo tardi per una considerazione del genere.

Nelle ultime stagioni, a parte le eccezioni dei turni infrasettimanali, pochissime partite si sono giocate in contemporanea. La Serie A, per salvare le apparenze (pure quelle contano), ha lasciato soltanto due gare di domenica alle 15 che a volte diventano tre quando proprio non si riesce a fare l’anticipo del venerdì o il posticipo del lunedì. Poi ci sono tre anticipi al sabato, quattro fasce orarie diverse la domenica ed ecco che lo spezzatino era stato già abbondantemente servito. Allora viene da chiedersi: c’è davvero tutta questa differenza tra otto e dieci fasce orarie differenti?

La risposta sembra scontata. Anche perché comunque questo è un passaggio evolutivo inevitabile. Il corso recente della Lega Serie A è stato dichiaratamente rivolto alla massimizzazione dei profitti ed è nota l’importanza in questo senso dei diritti tv per un club. È altrettanto chiaro come la posizione del fruitore abbia un’importanza relativa. Il calcio è così magnetico che azzera il potere contrattuale dell’appassionato, un discorso che oggi si fa per la televisione delle partite e che un tempo valeva pure per il costo di un biglietto. Quali che siano le modalità di ricezione, il tifoso sarà sempre disposto a sottoscrivere questo o quell’abbonamento ad un certo prezzo per seguire la propria squadra.

L’atletica aiuta a dare un’immagine nitida della situazione. Il campionato prima erano i 100 metri: tutte le partite alle tre, ascoltate per radio, magari soltanto i secondi tempi. Era un vortice continuo di emozioni, sensazioni, suggestioni. Oggi può diventare una maratona, per chi sente di riuscire a correrla. Ci si può piazzare sul divano alle 12:30 della domenica e alzarsi undici ore dopo, essendosi sorbiti quattro o cinque gare di Serie A intervallate dallo zapping sui campionati esteri nel mezzo. Per i grandi amanti del nostro calcio è il paradiso: si potranno vedere tutte le partite, senza perdersi neanche un minuto. E chissà che magari così non finiamo ad apprezzarlo un po’ di più.

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