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La lettera-sfogo di Zidane al Real: “Vado via perché non mi sento protetto e rispettato”

La lezione di Zizou: un grande allenatore non serve a molto se non ha la società alle spalle. “Non chiedevo privilegi ma un po’ più di memoria per il mio passato qua”

La lettera-sfogo di Zidane al Real: “Vado via perché non mi sento protetto e rispettato”

Zinedine Zidane scrive una lettera aperta, pubblicata da Diario AS, per spiegare il suo addio al Real Madrid. E se le prime dieci righe riassumono l’ovvio copione di sentimenti e gratitudine che ci si aspetta da un simbolo del madridismo nell’atto di lasciare la panchina, nel cuore della lettera Zidane non la manda a dire. Spiega che va via perché la società che tanto lo ha difeso in passato non lo supporta più. Anzi, che l’ha trattato – e “rimproverato” – come un allenatore qualunque. E, insomma, non si fa così dopo 20 anni.

“Passare vent’anni a Madrid è stata la cosa più bella che mi sia capitata nella vita e so che lo devo esclusivamente a Florentino Pérez che ha scommesso su di me nel 2001, che ha lottato per me, per farmi venire quando c’erano certe persone che mi erano contro. Lo dico di cuore, sarò sempre grato al presidente per questo. Per sempre. Adesso ho deciso di partire e voglio spiegare bene i motivi. Vado, ma non mi butto giù dalla barca e non sono stanco di allenare. A maggio 2018 sono andato via perché dopo due anni e mezzo con tante vittorie e tanti trofei sentivo che la squadra aveva bisogno di un nuovo corso per restare al top. Oggi le cose sono diverse. Me ne vado perché sento che la società non mi dà più la fiducia di cui ho bisogno, non mi offre il supporto per costruire qualcosa a medio o lungo termine. Conosco il calcio e conosco le esigenze di un club come il Madrid, so che quando non vinci devi lasciare. Ma qui è stata dimenticata una cosa molto importante, è stato dimenticato tutto quello che ho costruito quotidianamente, quello che ho contribuito nel rapporto con i giocatori, con le 150 persone che lavorano con e intorno alla squadra. Io sono un vincitore nato ed ero qui per conquistare trofei, ma al di là di questo ci sono gli esseri umani, le emozioni, la vita e ho la sensazione che queste cose non siano state valorizzate. In un certo senso, sono stato rimproverato”.

“Mi sarebbe piaciuto che in questi mesi il mio rapporto con la società e con il presidente fosse stato un po’ diverso da quello degli altri allenatori. Non chiedevo privilegi, ovviamente no, ma un po’ più di memoria. Oggi la vita media di un allenatore sulla panchina di un grande club è di due stagioni, poco di più. Perché duri più a lungo, i rapporti umani sono essenziali, sono più importanti del denaro, più importanti della fama, più importanti di tutto. Devi prenderti cura di loro. Ecco perché mi ha fatto molto male quando ho letto sulla stampa, dopo una sconfitta, che mi avrebbero buttato fuori se non avessi vinto la partita successiva. Ha ferito me e tutta la squadra perché questi messaggi trapelati intenzionalmente ai media hanno creato interferenze negative con lo staff, creato dubbi e incomprensioni. Meno male che avevo dei ragazzi meravigliosi che sarebbero morti con me. Quando le cose si sono messe male mi hanno salvato con grandi vittorie. Perché credevano in me e sapevano che credevo in loro”.

“Certo non sono il miglior allenatore del mondo, ma sono in grado di dare la forza e la fiducia di cui tutti hanno bisogno nel proprio lavoro, siano essi un giocatore, un membro dello staff tecnico o qualsiasi dipendente. So esattamente di cosa ha bisogno una squadra. In questi vent’anni al Madrid ho imparato che voi tifosi volete vincere, certo che lo vogliamo, ma soprattutto volete che diamo tutto, l’allenatore, lo staff, i lavoratori e ovviamente i calciatori. E posso assicurarvi che abbiamo dato il 100% di noi stessi per il club”.

“Scrivo questa lettera anche per inviare un messaggio ai giornalisti. Ho fatto centinaia di conferenze stampa e purtroppo di calcio abbiamo parlato poco e so che anche voi amate il calcio, che questo sport ci unisce. Tuttavia, senza cercare di criticare o darvi lezioni, avrei voluto che le domande non fossero sempre dirette alla polemica, che si parlasse più spesso del pallone e soprattutto dei giocatori, che sono e saranno sempre la cosa più importante”.

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