Ci sono voluti tre anni. Gli indagati sono 71. I periti: «Manutenzione inadeguata». Il crollo del ponte e la morte di 43 persone avrebbero potuto essere evitati
Sono passati quasi tre anni dal 14 agosto 2018, il giorno del crollo del Ponte Morandi, che trascinò con sé 43 persone innocenti. Che semplicemente passavano di lì, per andare al lavoro, tornare a casa e andare in vacanza, in una terribile giornata di pioggia.
Le indagini per il crollo del viadotto sono state chiuse. La Guardia di Finanza ha notificato avvisi di garanzia a 69 persone fisiche e 2 società: Autostrade per l’Italia e Spea.
Alla base delle accuse, la perizia dei consulenti dei pubblici ministeri, il professor Pier Giorgio Malerba, docente della Statale di Milano, e l’ingegnere Renato Buratti.
Nella loro perizia parlano di “incoscienza”, “immobilismo”, “negligenza”. Di comunicazioni “incomplete, equivoche, fuorvianti” e di “manutenzioni inadeguate”.
Nel documento si legge:
«C’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza. E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contemporanea evoluzione degli stati di ammaloramento del viadotto».
Scrivono che sul Morandi
«Non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza strutturale. Perché tale decisione avrebbe dovuto comportare scelte importanti, quali l’immediata chiusura al traffico del viadotto».
Chi poteva intervenire per evitare il disastro, si comportò con
«negligenza nell’ignorare i segnali riscontrati a monte dell’intervento del 1994 e successivamente rilevati nella loro progressione da quella data fino al crollo».
Al disastro di quel 14 agosto, scrivono i due periti, si è arrivati
«nonostante numerosi segni premonitori perché nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto».
Per 50 anni quei cavi della pila poi crollata, «non sono stati oggetto di alcun sostanziale intervento di manutenzione».