Ha reso inutile l’incontro tra i Friedkin e Allegri e negato il rinnovo a Mirante provocando “l’incazzatura del gruppo”. Gli si deve concedere il diritto di sbagliare, non quello di eccedere
Sul Corriere dello Sport Ivan Zazzaroni critica l’operato di Thiago Pinto, general manager della Roma. Scrive che ha demolito quanto fatto da Fienga.
“Prima di tentare di costruire la squadra del futuro prossimo Pinto ha pensato bene di demolire il poco – o il molto – di buono fatto da Guido Fienga, l’amministratore che consentì alla società di evitare il fallimento gestendo il passaggio non proprio indolore da Pallotta ai Friedkin. Un paio di esempi, tanto per gradire: Pinto ha reso praticamente inutile l’incontro di inizio ottobre a Udine tra Ryan e Allegri, propedeutico all’arrivo a giugno dell’allenatore dei sei scudetti (uno con il Milan e cinque di fila a Torino); e di recente ha negato il rinnovo a Antonio Mirante, figura rilevante nello spogliatoio del quale è uno dei più ascoltati; rinnovo che gli era stato promesso dallo stesso Fienga nella fase pre-Pinto. Inevitabile l’incazzatura del gruppo: quando la squadra non si fida più dei propri interlocutori societari, sono guai”.
A sostenere Pinto è soprattutto Ryan Friedkin, che Zazzaroni dipinge come un “appassionatissimo di calcio e numeri”, caratterizzato dall’entusiasmo proprio dei giovani ma anche “dall’inesperienza”.
Pinto ha “il diritto di sbagliare”, non ha nemmeno quarant’anni, ma, scrive, non ha il diritto di eccedere.
“Gli si deve concedere il diritto di sbagliare. Non quello di eccedere, però. In piazze come quella di Roma il buonsenso, l’umiltà e il rispetto della competenza altrui sono molto più efficaci della presunzione e della voglia di fare. Come disse il saggio portoghese: «A presunção é a mãe de todas as asneiras». La presunzione è la madre di tutti gli errori“.
Zazzaroni avanza l’ipotesi che la scelta di Pinto da parte dei Friedkin sia stata dettata da una motivazione ben precisa.
“Ho la sensazione che i Friedkin abbiano preso Tiago Pinto, figura non troppo ingombrante, per occuparsi di tutto, anche delle scelte di natura tecnica. Lo conferma il fatto che molto spesso agiscono in prima persona (Reynolds e El Shaarawy li hanno voluti loro), ovvero senza l’intervento del diesse. Fare calcio – ma anche politica sportiva, occuparsi delle beghe della Lega – è la cosa più complicata e spesso sgradevole del mondo: la convinzione di aver capito tutto nel giro di pochi mesi può procurare danni di insospettabile portata”.