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Le vite da romanzo di Ghiggia, Lojacono e altri stranieri dei miei tempi

Ghiggia a fine carriera andò al casinò di Montevideo a fare il croupier. Lojacono era un cacciatore di gonne e un pokerista incallito

Le vite da romanzo di Ghiggia, Lojacono e altri stranieri dei miei tempi

Strangers in the night and in the italian championship. Gli stranieri dei miei tempi lontani. Affilo rima e prosa e ve ne racconto qualcuno. Musica, maestro.

Un romanzo la vita di Alcide Ghiggia uruguayano magro, ala destra balzante, impomatati i capelli, baffetti d’uomo galante. Al Maracanà con un tiro improvviso dal fondo del campo aveva irriso il Brasile nella finale mondiale del millenovecentocinquanta. Non fu più lo stesso. Quel successo lo scosse. Diventò stravagante, irrequieto, indecente spaccone, damerino impudente.

Sbarcò a Roma, era il 1953, giallorosso per venti milioni d’ingaggio, all’atterraggio una folla plaudente. Al suo fianco
l’irresistibile creola sposata in Brasile. Il fascino femminile fu l’attrazione costante della sua vita allarmante. A caccia perenne, fu sorpreso la sera che sedusse una quattordicenne romana nell’auto argentata parcheggiata all’ombra di un viale alberato. Evitò la galera, ma gli scappò la moglie. Per la vergogna l’irresistibile creola lo lasciò nei guai e andò in Uruguay ballerina a teatro.
Ghiggia continuò a giocare la sua doppia partita. Sull’ala la vita in volata, il resto nell’auto argentata. Giocò a gettone nel Milan campione. Quando non ebbe più miccia per scoppiettare in campo salutò tutti l’appassito viveur. Andò al casinò di Montevideo a fare il croupier.

Vi racconto altri due malandrini. Accordo la cetra e vado.

Era il 1957. Nella Fiorentina di talenti e gioco armonioso fece breccia un tenebroso atticciato: Francisco Ramòn Lojacono. Una faccia da indio taurino, il naso grosso e fremente, gli occhi neri e profondi. Un gaudente. Un cacciatore di gonne, un pokerista incallito. Al casinò giocava l’altra partita, campione com’era della dolce vita. La punizione una micidiale bordata. Il portiere restava di sasso. La palla già entrata alla velocità della luce.

Generoso in campo, si sprecava anche fuori. Un orgasmo continuo la vita sentimentale di quel toro argentino. Riempì i giornali di gol e di storie, il flirt con Claudia Mori, attrice emergente che concesse la mano allo svitato Adriano. Ramòn tra i campioni non si negò alcuna passione.

A Firenze, ancora. La squadra progettata da Fulvio Bernardini. Sarti, Cervato, Magnini, il vocione e i polmoni di Chiappella. La squadra bella di Segato e Virgili. All’ala destra un baffetto brasiliano, un birillo con la testa di birillo, due gambe magre, Julio Botelho detto Julinho. Gioco d’anche, finte e contro-finte. Un solo piede, il destro per giocare. L’altro per camminare.

Regista defilato a dritta, dribblatore secco, bruciante. Il palleggio d’incanto. Prima che la gloria svanisse, svanì Julinho dai Lungarni, riportato a San Paolo dalla moglie rosa dalla gelosia. Si sussurrò in Piazza Signoria che il baffetto di Botelho s’era arricciato per via di una donna d’ammirato languore, una fiorentina soda. Fu per tutti la dama in viola.

Stranieri sempre, soprattutto attaccanti, nere gazzelle e anime belle. Un centravanti di rara potenza Angelo Benedicto Sormani, il Pelè bianco. Ai portieri piegava le mani.

Arrivò dal Brasile Dino Sani il pelato, baffetti e la silhouette di un agiato bancario. Aveva più di trent’anni. Rocco non credette all’età e lo bollò: “Sarà su pare”. Suo padre. Giocò nel Milan campione negli anni Sessanta. Una peste Pierino Prati sul lato mancino del campo, ragazzo di tiri sballati e di palloni centrati sui lanci al mirino di Rivera abatino.

Nell’Inter arroccata, che vinse due scudetti di fila, 1953 e 1954, giocava lo zingaro amico di tutti, l’apolide Nyers d’origini ungheresi. Tracagnotto girava Milano con un lungo cappotto. Vizioso di carte, di donne e liquori, visse di esagerati splendori. All’Arena erano feste quando arrivava guidando la Studebaker celeste, il macchinone americano dell’allegro zigano. Sull’ala sinistra una palla di cannone, il botto di un tiro tuonante. La rimessa laterale una lunga fiondata dalla riga di gesso al centro dell’area, meraviglia orbitale. L’artistico lancio balistico delle sue mani, del suo colpo di reni.

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