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Quegli eroi azzurri al tempo del Vomero

RACCONTI DI UN ALTRO CALCIO – Era ancora un gioco con interpreti spesso rudi tra i quali fioriva qualche bel petalo di classe tra i più virtuosi

Quegli eroi azzurri al tempo del Vomero
Jeppson, Amadei e Pesaola

Voglio ricordare alcuni dei miei “eroi” del Vomero quando beltà splendea dal pallone ridente e fuggitivo. Era ancora un gioco con interpreti spesso rudi tra i quali fioriva qualche bel petalo di classe tra i più virtuosi degli italiani e i malandrini sudamericani.

Sarà che Napoli era quello che era, ai tempi della Piedigrotta e del Festival della canzone al Teatro Mediterraneo, parole e musica, sentimento, poesia e mare blu, un giorno leggemmo questi semplici versi: “Salendo su dalla collina / che da Mergellina / in paradiso va / mi viene incontro una biondina. / M’ha fatto un gol / una bella bambina. / Con gli occhi ha spezzato / la rete del mio cuor“.

Li aveva scritti Beppe Casari, portiere azzurro al Vomero per tre anni, dal 1950 al 1953. Pensate, un bergamasco di corporatura alla Jean Gabin. Nessuna aria da poeta. Quei versi furono messi in musica e Pino Cuomo li cantò in una Piedigrotta.

Beppe Casari, un bergamasco sentimentalone poco immaginabile per lo stereotipo del bergamasco rozzo di cuore. Anche se, venticinque anni dopo, un altro bergamasco, Beppe Savoldi, fra un gol e l’altro in maglia azzurra, incise addirittura due dischi con una canzone, “Uè”, tutta napoletana. È l’effetto che fa Napoli, terra di poeti, cantanti, innamorati e goleador.

Di Casari, imbattuto in 34 gare, resta memorabile una parata col sedere che impedì a Praest di segnare il 3-0 per la Juve favorendo la leggendaria rimonta del Napoli (3-2).

Un bel tipo, Casari. Quando gli azzurri furono ricevuti da Pio XII, porse la mano al papa dicendo: “Piacere, Casari”. Lo chiamavano “il gigante buono”. Bravo sui calci di rigore, non altrettanto sui tiri da lontano.

Luciano Comaschi, campione di salto in lungo. L’ultimo anno in azzurro lo giocò al San Paolo. Una volta, in allenamento, beccato dal pubblico, fece un clamoroso quanto rischiosissimo salto con cui volò dal campo ai “distinti”, superando il vuoto del fossato che circonda il campo di gioco, per dire la sua ai tifosi contestatori.

Bresciano, fu “pescato” da Monzeglio nel Crotone e arrivò a Napoli a vent’anni, nel 1951. Burlone e impetuoso, uno dei “leoni” della storia azzurra, dopo Tricoli e prima di Vinicio. Terzino in coppia con Vinyei. Formidabili. Giocò poi in tandem con Elia Greco, e, l’ultimo anno, con Mistone. Nove stagioni nel Napoli con 241 presenze e tre gol.

Entrava in campo e si accucciava in un angolo fingendo di allacciarsi le scarpette: più prosaicamente, faceva pipì di nascosto. Era il suo atto portafortuna. Monzeglio, superstizioso, per lungo tempo, prima della partita, faceva toccare agli azzurri una vecchia bara. Dopo una batosta con l’Inter a Milano (1-5), al ritorno a Napoli Comaschi dette fuoco alla bara.

Ungherese di Moskacev, poi giocatore in Cecoslovacchia, Eugen Vinyei, classe 1922, arrivò in Italia a 27 anni, ingaggiato dalla Pro Patria. A 29 anni arrivò al Napoli, terzino ambidestro dal tiro potente. I suoi rinvii attraversavano tutto il campo. Negli assalti finali delle partite, si portava avanti per impegnare i portieri avversari col suo temibile tiro. Monzeglio volle provarlo centravanti contro il Novara, ma l’esperimento fallì. Nel Napoli, Vinyei giocò quattro campionati. Poi fu necessario cederlo.

C’erano tre stranieri in squadra (Jeppson, Pesaola, Vinyei), il massimo consentito. Per poter fare giocare Vinicio, brasiliano, fu ceduto Vinyei (alla Spal). A fine carriera, Vinyei emigrò negli Stati Uniti.

Bruno Gramaglia, genovese, arrivò la prima volta al Napoli nel 1938 quando aveva 19 anni, proveniente dall’Andrea Doria. Rimase cinque anni. Allo scoppio della guerra, tornò a Genova. Vinse il campionato Alta Italia del 1944 giocando nella squadra dei Vigili del fuoco di La Spezia. Ritornò alla Doria nel campionato ’45-’46. Nel 1949 di nuovo al Napoli per altri sei campionati. In totale, undici tornei in maglia azzurra, 273 presenze e 4 gol.

Fu un beniamino di Monzeglio che ne ammirava la serietà e la passione e lo richiamò al Napoli dopo la guerra. Giocava mediano, però capace di coprire più ruoli in difesa. Fece a lungo il centromediano. Legò il suo nome al buon Napoli della prima metà degli anni Cinquanta. A dispetto di un fisico non proprio da guerriero, in campo era un gladiatore.

Una volta, al Vomero, rimase per cinquanta metri attaccato alla maglia di Nordahl, il pompierone del Milan, novanta chili e la voce sottile da bambino, per frenare il centravanti svedese che proseguì nella corsa e andò a segnare.

Gramaglia non si presentò al raduno precampionato della stagione 1954-55. Aveva 35 anni e voleva smettere di giocare. Proprio in quei giorni, Bruno Roghi scrisse sul “Calcio illustrato” un bellissimo articolo su di lui. Gramaglia si commosse. Stuzzicato da Monzeglio e incoraggiato da tutta la squadra, rinviò il ritiro. Giocò ancora 10 partite e fu la sua ultima stagione. Al Napoli aveva dato tanto rimanendo in maglia azzurra una vita. Tornò nella sua Genova. È mancato nel 2005. Risiedeva a Rapallo. Aveva 86 anni.

(30 – continua)

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