Bernardini gli disse: “Sei troppo bello per diventare qualcuno nel calcio”. Napoli lo creò, la Juve lo rapì
RACCONTI DI UN ALTRO CALCIO
Marcello Lippi di Viareggio era il bello della Sampdoria anni Settanta, battitore libero della squadra doriana. Bernardini gli disse: “Sei troppo bello per diventare qualcuno nel calcio”. Il Dottor Fuffo lo aveva scoperto che faceva un pressing serrato su una affascinante parrucchiera. Gli si imbiancarono anzitempo i capelli e il suo fascino aumentò.
Da allenatore, Napoli lo creò (1993, lanciò Taglialatela e Fabio Cannavaro), la Juve lo rapì (1994). L’Avvocato Agnelli l’accolse così: “Lippi è il miglior prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli”. Disse: “Oggi l’allenatore di una squadra leader non deve essere né un mago, né un sergente di ferro. Deve essere una guida”. Da guida bianconera vinse molto, cinque scudetti per dire, con giocatori che si chiamavano Roberto Baggio, Ciro Ferrara, Conte, Vialli, Del Piero, Pippo Inzaghi, Zidane, Vieri.
Fu poco incline alla polemica e composto nelle sconfitte. Questo fu nelle stagioni vittoriose della Juventus. Quando le sconfitte non furono più rare e divennero numerose, allora cambiò. E tutti dissero che era diventato permaloso a un miliardo e duecento milioni l’anno.
Lasciò la Juve e naufragò due anni nell’Inter. Infierì su Roberto Baggio giunto da Torino. Disse “merda” nelle occasioni ostili e, dopo una sconfitta, dichiarò: “Mi vergogno di questa squadra. Fossi il presidente dell’Inter caccerei l’allenatore, poi prenderei a calci i giocatori”. Il primo desiderio venne esaudito e andò in esilio a Viareggio, confortato da uno stipendio di quattro miliardi che fu il suo straordinario sussidio di disoccupazione pagatogli dall’Inter. Aveva perso e non sapeva accettarlo. Disse: “Mi piacerebbe andare in Spagna o in Inghilterra. La Spagna perché mi piacciono gli spagnoli, l’Inghilterra perché sarei costretto finalmente a imparare l’inglese”.
Tornò alla Juve per altri tre anni. Scacciò la malinconia e i rancori e promise: “Tornerò antipatico a tutti”. Confessò: “Dalla Juve non ero andato via bene. Essere stato richiamato mi rende molto orgoglioso”. E firmò un contratto per cinque miliardi l’anno. L’Avvocato si raccomandò: “Non mi toccate Zidane”. Lippi aggiunse: “Non credo di essere smentito se dico che Zidane resterà”. Moggi deluse l’Avvocato e smentì Lippi cedendo Zidane al Real Madrid per 120 miliardi. Si fece perdonare acquistando Buffon, Nedved e Thuram.
La Juve ricominciò a correre e Marcello Lippi a fumare il sigaro con soddisfazione. Era nato il nuovo secolo e rinacque Marcello Lippi. Esaurite le glorie juventine, il viareggino dagli occhi azzurri concluse in Cina il suo ricco mestiere di allenatore, tre anni al Guangzhou per 12 milioni di euro l’anno. Marcello Lippi un autentico cacciatore di dote.
Ma ne aveva facoltà perché in Cina arrivò da campione del mondo. La vittoria del 2006 in Germania è scolpita nel suo curriculum. Egli salì orgoglioso sul carro dei vincitori che lui stesso aveva costruito sottraendo la nazionale italiana alle sentenze e alla vergogna di Calciopoli. La isolò, ne lucidò i muscoli, ne plasmò le menti e la condusse da Hannover a Kaiserslautern, da Amburgo a Dortmund sino ai calci di rigore di Berlino che valsero il titolo mondiale.
Sul cammino, ebbe bisogno dei gol di Iaquinta, Gilardino, Zambrotta e Toni, ma soprattutto dei calci di rigore, dal penalty di Totti per battere l’Australia 1-0, che fu la massima impresa dopo l’eroico 1-1 con gli Stati Uniti, a quello decisivo e mondiale dell’impudente Fabio Grosso contro la Francia nella finale infinita del 9 luglio 2006 che rimase celebre per la testata di Zidane a Materazzi, ma soprattutto per la festa negli spogliatoi dopo la partita quando apparve Giovannina Melandri, biondo ministro dello sport, e le cantarono eh lè lè, oh là là, faccela vede’, faccela tocca’.
(31 – continua)