Papa Francesco: «A calcio non ero forte e mi mettevano in porta, è stata una scuola di vita»

Alla Gazzetta ha parlato di Maradona, "un uomo fragile, ma un poeta in campo" e di Bartali che "pedalava centinaia di chilometri per aiutare le famiglie ebree". "Un campione deve essere di esempio, e il doping è un imbroglio"

Papa Francesco

La Gazzetta dello Sport apre questo nuovo anno con un’intervista a Papa Francesco sullo sport, sul suo rapporto con lo sport come bambino e uomo, ma anche sui paralleli che esistono tra vita di sportivo e quella di fede.

Papa Francesco ha parlato della sua passione di bambino per il calcio, quando bastava “pelota de trapo”, una palla di stracci per giocare e divertirsi

«Da piccolo mi piaceva il calcio, ma non ero tra i più bravi, anzi ero quello che in Argentina chiamano un “pata dura”, letteralmente gamba dura. Per questo mi facevano sempre giocare in porta. Ma fare il portiere è stato per me una grande scuola di vita. Il portiere deve essere pronto a rispondere a pericoli che possono arrivare da ogni parte»

Lo sport è divertimento, ma anche fatica, sottolinea il Papa, dedizione, motivazione e rispetto delle regole. Per vincere non bisogna mollare, ma tenere duro fino alla fine. Vincere è importante nello sport, come nella vita, ma sempre con rispetto delle regole e con saggezza perché lo sportivo è un esempio

«Apprezzo, però, chi è cosciente della responsabilità del suo talento, a qualunque sport o disciplina appartenga. Il “campione” diventa, per forza di cose, un modello d’ispirazione per altri, una sorta di musa ispiratrice, un punto di riferimento. È importante che gli sportivi e i campioni abbiano la consapevolezza di quanto una loro parola, un loro atteggiamento, possa incidere su migliaia di persone»

Il talento è un dono, rammenta il Papa ma anche una responsabilità e va allenato senza scegliere strade facili, ma scorrette. Proprio per questo Francesco condanna il doping

«Nessun campione si costruisce in laboratorio. A volte è accaduto, e non possiamo essere certi che non succederà ancora, anche se speriamo di no! Ma il tempo smaschera i talenti originali da quelli costruiti: un campione nasce e si rinforza con l’allenamento. Il doping nello sport non è soltanto un imbroglio, è una scorciatoia che annulla la dignità»

Proprio per questo Papa Francesco rivolge un augurio particolare a tutti gli sportivi

«Meglio una sconfitta pulita che una vittoria sporca»

Lo sport non è solo calcio, come spesso ci si è trovati a discutere, ma anche il Papa ammette che il calcio, la palla hanno un fascino particolare

«Sappiamo che in ogni angolo del mondo, anche in quello più nascosto e più povero, basta una palla e tutto comincia a popolarsi e a sorridere.  Forse per questo il calcio fa un po’ la parte del leone. Un po’ come accade a casa tra fratelli: ce n’è sempre uno che pensa di valere più degli altri! Ma certo il mondo dello sport è una vera e propria costellazione con tante stelle. Io ho giocato anche a basket e mi sta molto simpatico, ad esempio, il rugby»

Tifoso, Jorge Mario Bergoglio era un bambino tifoso della sua squadra del cuore, il San Lorenzo, che andava a veder giocare allo stadio col suo papà, con le stesse emozioni che tutti noi proviamo quando assistiamo ad una partita della nostra squadra del cuore

«Ricordo quelle giornate passate a vedere i calciatori giocare e la felicità di noi bambini quando tornavamo a casa: la gioia, la felicità sul volto, l’adrenalina nel sangue»

I ricordi di sport di Papa Francesco sono legati a due uomini, Gino Bartali

«il leggendario ciclista che, reclutato dal cardinale Elia Dalla Costa, con la scusa di allenarsi in bicicletta partiva da Firenze alla volta di Assisi e faceva ritorno con decine di documenti falsi nascosti nel telaio della bici che servivano per far fuggire e quindi salvare gli ebrei. Pedalava per centinaia di chilometri ogni giorno sapendo che, qualora lo avessero fermato, sarebbe stata la sua fine. Così facendo offrì una vita nuova a intere famiglie perseguitate dai nazisti, nascondendo qualcuno di loro anche a casa sua»

E poi Diego Armando Maradona

«Ho incontrato Diego Armando Maradona in occasione di una partita per la Pace nel 2014: ricordo con piacere tutto quello che Diego ha fatto per la Scholas Occurrentes, la Fondazione che si occupa dei bisognosi in tutto il mondo. In campo è stato un poeta, un grande campione che ha regalato gioia a milioni di persone, in Argentina come a Napoli. Era anche un uomo molto fragile. Ho un ricordo personale legato al campionato del Mondo del 1986, quello che l’Argentina vinse proprio grazie a Maradona. Mi trovavo a Francoforte, era un momento di difficoltà per me, stavo studiando la lingua e raccogliendo materiale per la mia tesi. Non avevo potuto vedere la finale del Mondiale e seppi soltanto il giorno dopo del successo dell’Argentina sulla Germania, quando una ragazza giapponese scrisse sulla lavagna «Viva l’Argentina» durante una lezione di tedesco. La ricordo, personalmente, come la vittoria della solitudine perché non avevo nessuno con il quale condividere la gioia di quella vittoria sportiva: la solitudine ti fa sentire solo,mentre ciò che rende bella la gioia è poterla condividere. Quando mi è stato detto della morte di Maradona, ho pregato per lui e ho fatto giungere alla famiglia un rosario con qualche parola personale di conforto»

 

 

 

 

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