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Un anno di Gattuso il Giuseppe Conte del calcio

Cambia l’involucro, ma la sostanza è quella. Sono due arci-italiani. Due tattici, strambano spesso, piacciono e portano a casa anche qualche risultato

Un anno di Gattuso il Giuseppe Conte del calcio

Gattuso un anno dopo. Il suo percorso somiglia a quello di Giuseppe Conte ormai due volte presidente del Consiglio. A Palazzo Chigi dal 1° giugno 2018. Due anni e mezzo. Non pochi per una persona considerata una meteora. In più, ed è questo l’aspetto che lo avvicina a Gattuso, Conte è anche uno Zelig della politica. Un discreto timoniere. Come possiamo definirlo? Un tattico. Uno che è abile ad annusare il vento e a cambiare rotta. Memorabile il suo discorso contro Salvini, come se fossero stati nemici per la vita. In più, ha il suo pubblico. Piace. Come piace Gattuso a Napoli. Anche se non mancano i suoi detrattori, soprattutto tra i tifosi.

Se analizziamo il primo anno di Gattuso, possiamo serenamente dire che il suo programma di governo (non gli obiettivi) è miseramente fallito. Ed è fallito dopo un mese. De Laurentiis lo presentò come l’uomo che avrebbe riportato a Napoli il sarrismo che da queste parti ha lasciato strascichi profondi. Se non tocchi la palla milleepassa volte in un’azione, non è considerata valida.

Qui, però, entra in gioco Gattuso-Conte. Che prima obbedisce, applica il dettato presidenziale. Poi si rende conto che sta andando a sbattere. E, attenzione, sta qui la principale dote di Gattuso: si rende conto, ha antenne con ottimi segnali di ricezione, ha i piedi ben piantati a terra.

Gattuso archivia il sarrismo dopo sei giornate, quasi tutte sconfitte. Ma sa bene che deve anche fare di necessità virtù. Sa bene che cos’è lo spogliatoio del Napoli. E per sopravvivere, ferma quel fisiologico processo di rinnovamento che aveva cominciato l’innominabile predecessore. Al di là della percezione di uomo che non guarda in faccia a nessuno – chapeau a lui per averla fatta passare – la realtà è tutt’altra. Le gerarchie di Gattuso sono rigide. Solo una volta effettivamente sorprese: con l’esclusione di Insigne lo scorso a Milano in Coppa Italia contro l’Inter (il Napoli vinse).

Ancora oggi Lozano viene considerato quasi un giovane promettente e non un calciatore affermato che lo scorso anno è stato escluso per motivi misteriosi. Ci permettiamo di dubitare che cadesse quando tirava, come ripetuto dall’allenatore.

In questo, nella gestione del gruppo, c’è sintonia tra Gattuso e De Laurentiis. Perché, alla fine della fiera, il presidente è l’esatto opposto della figura di padre-padrone che chissà come mai viene a lui associata. Siamo distanti anni luce dal personaggio di Gavino Ledda portato al cinema dai fratelli Taviani in un film che, se visto durante l’infanzia, può lasciare danni permanenti.

L’ammutinamento è finito in un volemose bene. I giocatori sono stati perdonati con un buffetto, qualcuno persino premiato con un lauto rinnovo. A Bergamo sembra che la vicenda Papu Gomez-Gasperini finirà diversamente, giusto per fare un esempio.

Qui però torna in scena il Gattuso-Conte. Capisce l’improponibilità di quel modello gioco ma sa anche che deve affidarsi a quegli uomini, altrimenti rischia di mettersi davvero male. Ed è bravo a convincere i calciatori a giocare per non prenderle. Si rifugia in quello che un tempo si sarebbe chiamato catenaccio. Noi lo definimmo doppio pullman. Sta di fatto che in quel modo il Napoli di Gattuso ha giocato le sue migliori partite: in campionato contro la Juve, in Coppa Italia (che è stata vinta, non è poco), e anche l’andata di Champions contro il Barcellona. I puristi ancora oggi storcono il naso. Ma il Napoli è terzo con un punto di penalizzazione e una partita che potrebbe essere rigiocata. Fin qui sta disputando un ottimo campionato.

Quando arrivò, Gattuso definì imbarazzante il settimo posto. Ha poi chiuso il campionato settimo. Senza che nessuno gli abbia detto nulla. E qui c’è un altro merito dell’allenatore calabrese: non gode di ottima stampa, di più. Piace ai giornalisti. Del Nord, del Sud, del Centro. Piace questo modo finto spontaneo di dire le cose. In realtà non dice mai la cosa scomoda. Ma fa sempre finta di dirla. E così viene percepito. L’ultimo caso è stato quello degli pseudo-assembramenti per Maradona. Molto pseudo, visti i dati dei successivi quindici giorni. In comunicazione, Gattuso è proprio come Giuseppe Conte: funziona.

La teoria dell’inclusione l’ha applicata anche per il calcio-mercato. Ci sono quelli che tirano per il ritorno al passato e quelli che invece vorrebbero il rinnovamento? Gattuso si batte per il rinnovo a Mertens e poi fa acquistare Osimhen perché sa bene che deve giocare in verticale. In più, si oppone alla cessione di Lozano che gli ha tolto più volte le castagne dal fuoco. Zitto zitto, è riuscito a farsi allestire la rosa più forte dell’era De Laurentiis. Completa in ogni ruolo. Ed è un merito non secondario per un allenatore. Ha fatto acquistare Rrhamani che praticamente non ha mai giocato, al di là del virus. E nessuno gli ha detto niente. Qualsiasi altro allenatore, lo stesso Sarri, sarebbe stato criticato. Lui no. Il Napoli ha due portieri forti, quattro difensori centrali di livello, una batteria di attaccanti. Ed è riuscito anche a farsi prendere Bakayoko dopo aver fatto esultare la piazza per gli acquisti di gennaio Demme e Lobotka. Senza dimenticare che nessuno gli ha mai detto niente del mancato arrivo di Ibrahimovic non proprio l’ultimo arrivato.

Gattuso, come Conte, è l’arci-italiano. Sa stare al mondo. A differenza di Conte, ha scelto un abito diverso. L’uomo della strada invece di quello di buona famiglia. Ma la sostanza è la stessa. Di fondo, almeno finora, il suo Napoli acchiappa il topo. Il che non è affatto poco. Va da sé, non è un riformista. È un timoniere, un tattico. Con i piedi ben piantati a terra. Dà l’idea di uno che, appena entra in una stanza, si rende conto di dove si trova, con chi relazionarsi e come comportarsi. Non sappiamo a quali traguardi potrà arrivare. Però ha stabilito un principio che potrebbe segnare la sua carriera: non va al di sotto di un determinato livello. Non è poco.

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