La Stampa intervista l’attrice che torna sul set dopo 11 anni diretta dal figlio: «Avevo bisogno di silenzio, di far riposare il cervello, di stare con i miei figli. Questa storia che mi ha ricordato che il cinema, per me, è essenziale».
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Dopo undici anni di lontananza dal set, Sophia Loren torna sullo schermo con un ruolo da protagonista nel film diretto dal figlio, Edoardo Ponti. Si chiama “La vita davanti a sé” ed è tratto dal romanzo omonimo edito da Neri Pozza. Sarà disponibile dal 13 novembre su Netflix. L’attrice napoletana interpreta Madame Rosa, una prostituta ebrea scampata ad Auschwitz, che a Bari ospita nella sua casa bambini in difficoltà. Tra questi diventerà speciale, più degli altri, Momò, un ragazzino di origini senegalesi che si troverà a vivere sotto lo stesso tetto della Madame che pochi giorni prima aveva tentato di derubare.
La Stampa intervista l’attrice napoletana. Il film è già in odore di Oscar.
«Per carità, non ci voglio nemmeno pensare, già così, ho avuto un tuffo al cuore, speriamo bene, vediamo… Il mio Oscar è stato lavorare nel film».
Racconta cosa l’ha attratta del film:
«È una storia importante, contiene un messaggio di accettazione, amore, perdono. Tutti noi abbiamo il diritto di essere amati e di sperare che i nostri sogni si realizzino, altrimenti sarebbe impossibile vivere».
A dirigerla, nella pellicola, è il figlio.
«Lavorare con mio figlio è impegnativo, vuole sempre che tocchi note che sa che posso raggiungere, ma non è facile, per me, spingermi così lontano. Naturalmente mi fido di lui, e faccio quello che dice. Nella scena in cui sono immobile sotto la pioggia continuava a ripetermi “mamma, non battere le ciglia”, e io pensavo “ma come faccio? Sono tutta bagnata”, però, siccome quando mio figlio parla tutto è fantastico, ho fatto come diceva lui “I didn’t blink”».
Il personaggio di Madame Rosa, dice, le ha ricordato sua madre.
«Soprattutto per la combinazione di fragilità e irriverente vitalità. E poi c’è una frase del personaggio che mia madre ripeteva spesso, “è proprio quando non ci credi più, che succedono le cose più belle”. Era un concetto a cui era molto legata, lo ripeteva quando era giù di morale e vedeva tutto nero. Mia madre era una donna che si faceva sentire, vivevamo grazie a lei, suonava benissimo il pianoforte e così riuscivamo a mangiare, per la nostra famiglia era fondamentale quella sua immagine di bellezza e di talento».
La Loren spiega perché è stata lontana dal set tutti questi anni
«Avevo bisogno di silenzio, di far riposare il cervello, di stare con i miei figli, perché il mio lavoro non mi ha permesso di essere sempre presente mentre crescevano. Ho scelto una vita di famiglia, come se fossi una signora che ha lavorato e che poi si è fermata per un po’. Poi è arrivata questa storia che rincuora, e che mi ha intenerito, ricordandomi che il cinema, per me, è essenziale».
Racconta qual è il suo rapporto con Napoli.
«Quando si nasce a Napoli, le origini non si dimenticano mai. Io sono fiera di essere napoletana, al mille per cento. Se devo cantare, canto una canzone napoletana, Napoli è sempre nel mio cuore, è stata la mia fortuna, una scuola meravigliosa, grazie all’incontro fondamentale con De Sica, che era quasi di Napoli, e mi ha fatto vivere i momenti più felici della vita».
Sul Covid e l’azzeramento dei rapporti tra esseri umani che la pandemia ha comportato:
«I contatti tra le persone contano molto, ma fino a un certo punto. Io ho paura di tutto, seguo le regole, non esco, non faccio cose che sono vietate».
E sulla chiusura di cinema e teatri:
«I cinema e i teatri sono rifugi, servono a ritrovarci e a capirci meglio, e dispiace che oggi siano chiusi. La salute emotiva è importante, ma quella vera lo è di più. Se oggi siamo messi così, che cosa possiamo fare?».