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L’importanza di non chiamarsi Ernesto

Gattuso è il Che, ma senza cubano. È il vero rivoluzionario, quello che non è stato Ancelotti e non fu Sarri prima di lui

L’importanza di non chiamarsi Ernesto

Il napoletano, come in genere l’italiano, si sa, ha bisogno di un eroe. Ha bisogno di qualcuno che identifichi determinati valori, magari improntati anche così alla buona, di qualcuno che in qualche modo faccia venire fuori quella sua nascosta e pacata indole che lo relega a cittadino comune, per trasformarlo quindi in attivo sostenitore di. Il napoletano è un po’ così, diciamoci la verità. È successo con Sarri, condottiero della rivoluzione popolare partenopea, e poi ancora con Ancelotti, leader di una sommossa più imborghesita, tutta giacca e culatello.

Se il primo ha tirato fuori immaginifici scenari d’Ottobre, il secondo ha ricordato forse di più una rivoluzione silenziosa, poco rivoluzione ed alla fine anche poco silenziosa.

E Gattuso invece? Siamo onesti, chi di voi avrebbe scommesso che il “ringhio” nazionale avrebbe potuto tornare a far vibrare l’anima e il cuore dei tifosi? Credo pochissimi, quasi nessuno. Al primo impatto, Gattuso immagino in molti l’hanno inquadrato nel traghettatore, in vista di un nome molto più blasonato, e forse in principio è stato davvero cosi. Ma poi Gattuso ha fatto qualcosa che non ci si aspettava, ha dato alla squadra un’identità precisa, chiara. Ha dato la sensazione di poter far parte di quella grande storia, che tanto piace ai napoletani, l’immensa metafora di qualsiasi cosa che puntualmente vene proiettata nel calcio.

Anche perché, altro aspetto divertente, la mente viaggia, e da Gattuso che squadra ti immagini? Una squadra di lottatori, con il sangue agli occhi e il coltello tra i denti, pensi mica alla bellezza? No, quella la pretendi da Pirlo, da Zidane, un giorno da Iniesta, da quelli coi piedi buoni insomma (si fa dell’ironia, è chiaro).

Quindi Gattuso, nell’immaginario collettivo, dove potremmo collocarlo? Se Sarri è stato il leader rivoluzionario, dimostratosi poi cinico nel piegarsi alle dinamiche di palazzo e di sistema, come un calcistico Fidel, nato in un modo, cresciuto in altro, e morto in altro ancora. E allora Gattuso, così vicino alla gente, così vicino alle necessità concrete del popolo (la sua lotta per il pagamento degli stipendi praticamente ovunque), che rinuncia al suo ingaggio per consentire il pagamento del suo staff. Allora Ringhio, che lascia una rivoluzione (Milan) per un’altra, non può essere che lui: un Che senza cubano (nel senso di sigaro), ma con tanta rabbia e grinta da far esplodere un vulcano che non vuole saperne di svegliarsi (sola ironica esagerazione partenopea).

Ma sì, si può fare. L’immagine può andare in quella direzione. È vicino al popolo, viene dal popolo, ed al popolo ritorna, speriamo il più tardi possibile, perché a volte proprio il popolo è capace di certi scherzetti. Hasta la victoria, Ringhio!

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