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La storia di Gerardo Bedoya, “il macellaio di Ebejico”, un criminale prestato al calcio 

Sul Giornale. Colombiano, collezionò 45 espulsioni e una serie infinita di cartellini gialli. Il giorno del ritiro disse: «Non scandalizzatevi, in Colombia si gioca duro. Distruggete quelle immagini, non voglio le veda mia figlia»

La storia di Gerardo Bedoya, “il macellaio di Ebejico”, un criminale prestato al calcio 

Sul Giornale la storia di Gerardo Alberto Bedoya Munera, calciatore colombiano ribattezzato il “macellaio di Ebejico”. In carriera ha collezionato 45 espulsioni e una serie infinita di cartellini gialli. I tabloid inglesi lo hanno definito “un delinquente prestato al calcio”. Nel presentarlo, il quotidiano scrive:

“Un fatto trova tutti concordi, quelli di Bedoya non è giusto classificarli falli di gioco, no, non gli renderebbero onore, le sue sono state vere e proprie aggressioni, alla testa, alla figura e agli arti, tanto che più di un suo agiografo ha tentato di assolverlo spiegando come lui in realtà abbia sempre desiderato inconsciamente prendere a calci gli avversari piuttosto che quello stupido pallone”.

Nasce il 26 novembre 1975 su una montagna colombiana, nel dipartimento di Antioquia. Vive un’infanzia tribolata. Il padre, fallita la carriera calcistica, riversa tutte le sue aspettative sul figlio. La madre voleva invece che si laureasse.

“Legatissimo alla famiglia, Gerardo non riesce a decidere chi deludere dei due, intanto comunque gioca a calcio con ottimi risultati, terzino o centrale difensivo pur non essendo particolarmente robusto, un metro e settantaquattro, grintoso e basta”.

Diventa macellaio quando si trasferisce in Argentina, al Racing de Avellaneda (dopo aver frequentato le giovanili del Deportivo Pereira e del Deportivo Calì). Dopo aver iniziato come riserva, bastano due partite per diventare titolare inamovibile. Porta la squadra alla vittoria della Coppa America e già dà “segnali di squilibrio”

quando prende a calci un avversario senza palla e mentre sta cadendo a terra lo colpisce con una ginocchiata alla nuca per finire il lavoro”.

La violenza in campo diventa per lui un leit motiv.

A uno sferra un pugno allo stomaco che lo piega e un gancio mancato solo perché l’avversario cade al primo colpo”.

Guadagna “carriolate di cartellini rossi” e “decine di settimane di squalifica e ore di impegno sociale nelle scuole”. Viene rimandato in Colombia.

Qui, per gli avversari è un macellaio, mentre per i suoi tifosi diventa “El General”, in onore del generale Harold Bedoya Pizarro, presidente delle forze armate.

Anche qui dà il suo meglio. In una delle partite più calde del torneo colombiano, contro i Millionarios, all’improvviso gli parte un embolo. Si avvicina ad un giocatore avversario e gli dà una gomitata in pieno volto. Quello cade a terra e Gerardo, non contento, gli gira attorno, gli si mette davanti e comincia a prenderlo a calci in testa. Poi, spiegandosi, minimizza. Dice che erano solo colpetti per capire se fosse svenuto. Intanto, però, i suoi compagni sono costretti a tirarlo via di peso per evitare che lo lasci steso a terra per sempre. Viene squalificato per 15 giornate, ridotte poi a 11 perché il calciatore avversario, Yhonny Ramirez, spiega alla Commissione

“che in fondo Bedoya è da perdonare in quanto è questo che i tifosi del Santa Fè si aspettano da lui”.

Il giorno del suo ritiro, Gerardo chiede a tutti di non scandalizzarsi per il suo modo di giocare. Dice:

«In Colombia si gioca duro. Ho due soli rammarichi, essere ricordato come il giocatore più violento del mondo e vorrei che mia figlia non vedesse mai quelle immagini. Vi prego distruggetele: lo so, son tante, sarà un lavoro lungo».

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